Più servizi e meno manifatturiero. Crescita il calo ma migliorano gli indicatori di marginalità. La fotografia delle imprese italiane nella Repubblica popolare che emerge dal secondo sondaggio della Camera di commercio italiana in Cina.
Le risposte fornite dagli imprenditori tracciano il profilo di una “solida comunità d’affari in trasformazione, fondata su aziende di media dimensione che intendono mantenere la propria presenza industriale nel Paese”. Sull’attività pesano le tensioni commerciali con gli Stati Uniti. Le aziende esprimono comunque un certo ottimismo rispetto alle riforme avviate da Pechino, soprattutto per il piano Made in China 2025, pensato per favorire la digitalizzazione e la trasformazione tecnologica della manifattura cinese.
Gli imprenditori guardano inoltre con interesse alle prospettive aperte dal memorandum d’intesa per la cooperazione lungo la nuova Via della Seta, firmato dall’Italia lo scorso marzo, e che avrà un impatto “molto positivo”, sugli affari in Cina.
“La seconda edizione del Survey ci consente di misurare i cambiamenti registrati in Cina dalle nostre aziende in un periodo particolarmente turbolento per quanto riguarda la crescita economica del paese e le problematiche emerse a causa della disputa con gli Stati Uniti”, ha commentato il presidente della Camera di commercio italiana, Davide Cucino, “L’obiettivo in futuro è di farlo diventare uno strumento importante per promuovere le visioni e gli interessi delle aziende italiane in Cina.”
Il rallentamento cinese ha avuto ripercussioni sull’attività delle imprese italiane. Il ritmo di crescita è infatti calato rispetto al 2017, ma migliorano ebitda ed ebit. Nonostante l’importanza che riveste nel Paese, l’e-commerce rappresenta ancora una componente marginale del fatturato delle società italiane.
Circa un terzo del campione di 929 imprese afferma invece di sentirsi discriminato come società straniera, per presunte barriere d’accesso al mercato e per questioni amministrative. C’è anche una stima dei costi di tali barriere: 2,5 miliardi di euro, pari a circa il 10% dei ricavi complessivi.
Tra le principali preoccupazioni ci sono invece l’aumento del costo del lavoro e l’incertezza del quadro legislativo cinese.