Dove va la BRI, Belt and Road Initiative, conosciuta in Italia anche come Nuove Vie della Seta? Quale sarà l'impatto della pandemia sul progetto?
Alcuni segnali sono già chiari, anche se molto ancora dipenderà dalla lunghezza e profondità della recessione globale, che riduce la domanda di trasporti ed energia. Una risposta più esauriente dipende, tuttavia, da che cosa si intende per BRI che non è un progetto diretto dall'alto verso il basso in cui ogni investimento, ogni scelta è determinata da pochi individui seduti a Pechino.
È invece un mix di iniziative sia di aziende statali che private molto eterogenee che possono andare dalla costruzione di una centrale elettrica in Nord Africa all'ampliamento di un porto in Sri Lanka, ma anche all'accordo di collaborazione con un'università in Cambogia o uno sviluppo immobiliare in Malesia. Attività quindi che vanno oltre il "core business" di energia e trasporti, rispondenti a un indirizzo di politica estera generale, ma anche a mere valutazioni di carattere commerciale delle società coinvolte.
Già dall'anno scorso si notava una certa "BRI-fatigue": alcuni dei paesi coinvolti segnalavano di non essere in grado di portare avanti tutti i progetti previsti a causa degli impegni finanziari montanti, perché spesso la costruzione di infrastrutture viene pagata con finanziamenti a lungo termine da banche cinesi.
La pandemia ha complicato la situazione: da un lato le restrizioni ai movimenti tra paesi hanno impedito a volte a tecnici ed esperti cinesi di portare avanti i progetti. Dall'altro, la spesa pubblica in molti paesi è stata riorientata verso la lotta all'epidemia e l'economia ha rallentato notevolmente, portando per esempio alla cancellazione di progetti già in costruzione o previsti, come avvenuto in Egitto e Bangladesh negli ultimi due mesi, o alla rinegoziazione degli impegni finanziari.
A casa poi, la Cina deve fare i conti con il primo significativo rallentamento economico in più di 30 anni che può portare a sofferenze bancarie e quindi a meno disponibilità di fondi per progetti fuori dal paese, almeno finché l'economia non tornerà a crescere a ritmi sostenuti.
La BRI resta comunque un progetto caro alla dirigenza cinese, ma sembra inevitabile che nei prossimi due-tre anni ci sarà sia un ridimensionamento geografico che una diversificazione delle attività. Sul primo punto, l'area del Sud-est asiatico sembra essere quella che riceverà più attenzione anche perché più integrata con l'economia cinese.
Nei primi mesi di quest'anno l'ASEAN ha superato l'Unione europea come partner commerciale della Cina per la prima volta, anche grazie al fatto che molte aziende private cinesi hanno spostato produzioni nel Sud-est asiatico. Sul secondo punto, c'è un recente focus molto forte sulla cosiddetta "via della seta digitale" che comprende società del settore ICT specializzate per esempio nella digitalizzazione dei sistemi sanitari ma anche le piattaforme di e-commerce che stanno offrendo i loro servizi in un numero sempre maggiore di paesi.
Queste società sono in gran parte private e cercheranno di espandersi sia attraverso apertura di filiali che acquisizioni. Aumenterà anche il focus sul settore healthcare, seguendo un trend già ben presente in Cina.
L'Europa non è mai stata interessata direttamente da progetti infrastrutturali di qualche rilevanza legati alla BRI, con l'unica eccezione della costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Belgrado-Budapest. Uno dei simboli della BRI però, anche se non strettamente legato ad esso, sono i collegamenti ferroviari tra Europa e Cina.
Questi, anche a causa del rallentamento di quelli marittimi durante l'epidemia si sono rafforzati: il volume è già tornato quasi al 100% di quello pre-pandemia e nuove linee sono state aggiunte, da ultimo Shenzhen-Duisburg. Questo sviluppo è interessante soprattutto per gli operatori della logistica nell'ottica di un auspicato aumento dell'esportazione di beni di consumo verso il paese asiatico.
L'Italia, avendo firmato il Memorandum di adesione alla BRI, è uno dei paesi che in teoria dovrebbe beneficiarne di più, ma non dovrebbe avere aspettative troppo elevate: il Memorandum per esempio non è lo strumento principe per promuovere l'export del Made in Italy verso la Cina.
Resta uno strumento utile se si vuole collaborare nei progetti infrastrutturali in paesi terzi. Per le aziende italiane diventano invece sempre più importanti le aperture fatte di recente e che si attendono dalla Cina in tema di investimenti esteri nel paese, finora poco discusse in Italia. A queste bisognerà prestare più attenzione nei prossimi mesi.
* Avvocato, partner Baker Mckenzie, responsabile desk Cina in Italia dello studio legale americano