I rapporti UE-Cina sono finiti in un labirinto di competenze e di tensioni tra stati membri e Commissione, tra Commissione e Parlamento da cui pare difficile capire come si potrà uscire. Si sentono leader tedeschi e francesi che, preoccupati per l'accesso delle loro aziende alla seconda economia al mondo, negli incontri con Pechino rimarcano l'importanza di ratificare il CAI, il trattato sugli investimenti bilaterali concluso dalla Commissione lo scorso dicembre.
Dall'altra parte il Parlamento Europeo giura di non ratificarlo finché la Cina non fa alcune cose, che però non sono affatto chiare, come non è chiaro se - ammesso che faccia queste cose - non ne vengano fuori altre. Oppure l'alto rappresentante Borrell fa dichiarazioni più "dure", smentite poi dai ministri degli esteri di qualche stato membro.
È difficile dal lato di qualsiasi interlocutore (figuriamoci poi la Cina) capire con chi si deve avere a che fare in Europa e chi prende l'ultima decisione; la semplificazione per cui di solito sono Berlino e Parigi che decidono non sembra valere più come prima. L'alternativa però non è molto chiara.
Chi decide la linea di politica estera ed economica verso paesi extra UE? E si tratta di decisioni che tengono conto di tutti gli interessi in gioco: delle aziende europee, dello sviluppo tecnologico, dell'economia globale e anche della tradizionale vocazione europea a promuovere i diritti umani nel mondo, o solo di alcuni interessi? E, soprattutto, sono decisioni vincolanti per gli stati membri? E chi decide poi si fa carico interamente anche delle conseguenze per gli stati membri stessi?
Finché questo non verrà chiarito, i rapporti UE-Cina (come d'altra parte quelli UE-Africa), rimarranno in un limbo pieno di contraddizioni che finiscono per impattare anche sugli aspetti economici. Non è un caso quindi che singoli stati membri cerchino di ritagliarsi i loro "rapporti preferenziali" come hanno fatto quelli (una dozzina) che hanno firmato il Memorandum sulle Vie della Seta.
In epoca di politicizzazione dei negoziati commerciali, quando sembra impossibile - come invece avveniva fino a pochi anni fa - distinguere tra politica e commercio, questo è un problema soprattutto per l'Europa. Il CAI con la Cina non è l'unica vittima, se consideriamo che ad oggi non si è riusciti a ratificare nemmeno il CETA, l'accordo Ue-Canada in vigore dal 2017, ma soggetto a ratifica di più di 30 parlamenti nazionali e regionali, e l'accordo con il Mercosur, che ha impiegato quasi 15 anni ad essere negoziato.
Parlare di "volontà" dell'Unione Europea in contesto di politica estera è sempre un azzardo, perché gran parte delle competenze di politica estera (e di difesa) sono rimaste agli stati membri che non hanno intenzione di cederle, quindi la politica estera dei singoli stati membri, dal più piccolo al più grande, interferisce con la linea generale dell'Unione in tutti i campi.
Tradizionalmente, l'UE forte delle sue competenze esclusive in materia ha preso la guida sui trattati commerciali e da Lisbona in poi anche quelli che riguardano gli investimenti bilaterali. Ma anche qui esistono eccezioni: per esempio, quando si tratta di investimenti esteri in un paese membro, questo ha ancora facoltà di vietarli o di porre condizioni, non solo nel caso di investimenti da paesi extra UE ma anche - per assurdo - investimenti da paesi UE.
A questo conflitto di competenze si aggiunge una rinnovata tensione tra gli stati membri, la Commissione e il Parlamento Europeo. Il Parlamento Europeo come noto non ha i poteri tradizionali di un parlamento nazionale: ha un limitatissimo potere di iniziativa legislativa, non può imporre tasse, non decide la politica economica e fiscale dell'Unione, non ha un esercito da poter "attivare" in caso di bisogno. Ha però ha un potere fondamentale: può approvare o bocciare i trattati commerciali negoziati dalla Commissione, anche quelli negoziati su mandato del Parlamento stesso.
A fronte di questa complessità che si traduce in lentezza, il Phase 1 Agreement tra USA e Cina (una versione più ridotta del CAI ma comunque importante per gli USA) negoziato in pochi mesi è già in vigore da un pezzo, mentre il RCEP promosso dalla Cina che raccoglie mezza Asia procede velocemente alle ratifiche nazionali. Si rischia di ritrovarci con un'Europa incapace di concludere accordi commerciali e di investimenti nei tempi necessari a non perdere i prossimi treni. (riproduzione riservata)
* Marco Marazzi è avvocato, partner di Baker & McKenzie e presidente Easternational