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Politica

Xi riesuma la casacca di Mao ma non è una nuova guerra fredda

La Cina è mix unico al mondo, un sistema politico molto centralizzato che però fa scelte economiche e industriali avanzate e nelle direzioni strategiche, scrive il diplomatico Minuto-Rizzo. Nonostante i toni si stiano alzando occorre equilibrio nei rapporti con Pechino


07/07/2021 13:55

di Alessandro Minuto-Rizzo*

settimanale
Xi Jinping mentre parla per le celebrazioni del primo luglio scorso

Abbiamo assistito con qualche stupore e con interesse alla celebrazione del 100esimo anniversario del Partito Comunista cinese. La coreografia era quella delle grandi occasioni, tra giovani in festa, impeccabili parate militari e discorsi che si vuole passino alla storia. Se era rimasto qualche dubbio sulla grandeur della Cina, il suo ruolo nel mondo e le sue ambizioni per il futuro, ebbene questi ultimi non ci sono più. Il grande leader di oggi Xi Jinping, che non ha più limiti temporali al suo potere, si è presentato con la casacca storica che Mao indossava volentieri, il grande timoniere. Una continuità storica che non sfugge.

Ma siamo sicuri di capire bene la Cina attuale, con tutte le sfumature che potrebbero sfuggirci? Il primo commento è sulla velocità con cui le cose stanno cambiando. Ricordiamo e possiamo ancora vedere le vecchie foto della rivoluzione culturale. Vi era un'atmosfera di violenza, la distruzione di tutto quello che poteva rappresentare il passato in nome di una radicale innovazione. Attorno a questo grande povertà e miseria.

Poi le cose sono cambiate e la situazione politica, sempre attentamente sotto il controllo del partito, si è normalizzata. Ma per molto tempo erano questioni che riguardavano la scena interna, poco i rapporti internazionali. Avevo letto con molto interesse il libro di Tiziano Terzani scritto negli anni '80, corrispondente di Der Spiegel a Pechino, dove traspariva un grande interesse verso la Cina e la sua civiltà storica. Nello stesso tempo vi era poco apprezzamento per la politica economica del governo e sostanzialmente il Paese continuava a vivere in povertà, controllato dall'onnipresente partito.

Molta acqua è davvero passata sotto i quei ponti. Negli anni '90 il regime, allora sotto la guida di Deng, aveva comunque molta attenzione ai rapporti internazionali e al ruolo con cui si presentava la Cina nel mondo e non voleva creare inutili tensioni.

La teoria che veniva spiegata era che si trattava di un Paese in via di sviluppo, che doveva rafforzare la sua autonomia, migliorare le condizioni di vita della popolazione, sempre in un contesto di economia socialista. In poche parole doveva recuperare tutto il terreno perduto in secoli di decadenza e cattivo governo. Questo implicava che i rapporti internazionali venissero in secondo piano per cui la Cina accettava il multilateralismo e un ruolo fra i Paesi non allineati.

Taiwan rimaneva una spina nel fianco, era il luogo in cui si era rifugiato l'esercito nazionalista sconfitto, abbandonando il continente, una rivendicazione di lungo periodo ma non un tema immediato da risolvere.

Vi era la questione di Hong Kong e Macao, residui storici dell'800 quando le potenze europee facevano il bello e il cattivo tempo anche in Asia. Però la restituzione alla Cina veniva affrontata con negoziati pazienti e con il consenso internazionale.

Nei primi anni di questo secolo sembrava quindi fisiologico che la Cina aderisse all'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) di Ginevra. Sembrava allora che fosse un passo necessario affinché il Paese aderisse alle regole di mercato condivise, entrasse a far parte del circuito regolato degli scambi commerciali. A Washington si pensava che tale passaggio avrebbe inevitabilmente creato, all'interno, un circuito economico virtuoso facendo crescere ceti sociali più indipendenti dal partito.

Non è andata così. Al contrario, stiamo vedendo un mix unico al mondo di un sistema politico molto centralizzato che però fa scelte economiche e industriali avanzate e nelle direzioni strategiche. Questo non è un vantaggio da poco rispetto alle economie di mercato dei Paesi occidentali. Senza che fosse troppo notato sono state poste condizioni agli investimenti stranieri attirati, come è logico che sia, dalle grandi dimensioni del mercato più grande del pianeta, un miliardo e mezzo di potenziali consumatori.

L'adesione alla sostanza delle regole liberali non ha avuto luogo. La possibilità di fare scelte strategiche per il Paese, che ormai dispone di grandi capitali ed è cresciuto per anni con tassi di crescita vicini alle due cifre, rappresenta a sua volta un notevole valore aggiunto.

Le democrazie parlamentari dell'Occidente non possono competere con un sistema del genere. Negli anni di questo secolo che abbiamo descritto, Pechino ha fatto una politica di penetrazione in Africa. In maniera quieta e progressiva. La formula di base è quella di fare prestiti generosi ai Paesi desiderosi di migliorare le proprie infrastrutture, spesso fornendo lavoro e personale. Nello stesso tempo stabilendo una presenza e lo sfruttamento di materie prime, da cui poi è difficile liberarsi.

Ciò detto, non dimentichiamo che Xi Jinping ha fatto un discorso da leader mondiale per l'anniversario del partito. Egli ha detto sostanzialmente che il suo Paese è una grande potenza che vuole perseguire i suoi interessi nazionali con decisione. Che esige rispetto e considerazione per tali interessi. Infine ha messo in guardia le potenze straniere dal cercare di restringere il raggio d'azione della Cina.

Diciamo la verità, siamo un po' sorpresi da questa accelerazione perché ci eravamo abituati a vedere il paese in altro modo, meno come grande potenza. Bisogna quindi costruire una politica delle democrazie occidentali che tenga conto di questo scenario.

Parlare di una nuova guerra fredda non sembra adeguato e come minimo prematuro. Non si possono fare paragoni con l'Unione Sovietica. Quella era tutta un'altra storia, su cui è inutile tornare. Anche il tema di Taiwan, che è molto attuale, va guardato con equilibrio e trattato con molta delicatezza. Come sempre la cosa più difficile è riuscire a comprendere bene le percezioni dell'altro.

Ci vorrà saggezza ed equilibrio, doti poco diffuse oggi come in passato. È stato detto giustamente, dall'amministrazione Biden, che abbiamo nello stesso tempo a che fare con un rivale, un competitore e un partner. Parole che riecheggiano in Europa, dove si è stati colti un po' di sorpresa dal revanchismo di Pechino e si sta facendo in qualche modo machina indietro.

Logico che si continui ad avere buoni rapporti commerciali, non c'è ragione di cambiare. Nello stesso tempo bisognerà fare attenzione a non fare concessioni sulle alte tecnologie del futuro dove la Cina primeggia.

Abbiamo visto negli ultimi anni un grande dinamismo negli investimenti in Europa ed altrove. Pare prudente che i governi europei e nord americani si concertino a questo riguardo. L'istituzione di golden share e il diritto a proteggere settori strategici dovrà essere messo in campo senza esitazioni. Così va il mondo oggi, il secolo asiatico di cui gli intellettuali hanno tanto parlato, sembra avvicinarsi. D'altra parte i periodi storici si sono sempre susseguiti e il nuovo ciclo può avere problemi, ma anche opportunità. Importante è impegnarsi con un occhio consapevole e in accordo con chi condivide gli stessi valori. (riproduzione riservata)

* Diplomatico, già segretario generale della Nato


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