«Abbiamo incominciato a esportare in tutta Europa, in Australia, in Cina. Il pane e la pizza vengono apprezzati in tutto il mondo. Inoltre il nostro grano tenero, in cui siamo specializzati, è ottimo anche per la pasticceria. La Cina sta scoprendo il mangiare all’occidentale e compra i nostri prodotti. Vuole mettere che soddisfazione portare ai cinesi il pane, magari in sinergia con la mortadella e il provolone?». Gianluca Pivetti, 50 anni, master negli Usa, quinta generazione a capo del molino omonimo, 65 dipendenti, a Renazzo, provincia di Ferrara, ha sviluppato un gioiello gioiello tecnologico all’avanguardia in Europa.
Entrare nel suo mulino è come aggirarsi in un centro robotico: l’autocarro scarica il grano e dopo un po’ esce il pacco di farina quasi senza l’intervento dell’uomo, un solo tecnico controlla al computer tutta l’operazione: il grano viene lavato, separato dalle impurità, inumidito, frantumato, imbustato e addirittura caricato sul camion in modo automatico, tra lettori di codici a barre, sensori, tubi simili a quelli della posta pneumatica che portano il prodotto da un capo all’altro dello stabilimento, macchine che lavorano al millimetro e sono costruite in Svezia, pallet che circolano con precisione certosina nonostante il traffico sia quello dell’ora di punta di una città. Vengono caricati sugli autocarri 80 bancali l’ora.
Un altro gioiello dei Mulini Pivetti è il laboratorio ricerca e sviluppo dove vengono testati i nuovi prodotti, fra cui la farina per il settore baby food in collaborazione con Plasmon. Pivetti vende farina online e vuole portare l’intelligenza artificiale, la robotica e il 5G anche nelle campagne con l'Operazione campi protetti, in modo da favorire il ricambio generazionale in agricoltura, per evitare quello che è successo nei giorni scorsi a Prato, dove il molino Mugnaioni, impresa con 120 anni di storia, è stato venduto ai cinesi che lo trasformeranno in albergo e ristorante.
«Lo sforzo di automazione è rivolto anche all’offensiva commerciale che intendiamo lanciare all’estero per superare il problema che affligge il comparto molitorio: la capacità produttiva dei 15 molini importanti, a cui se ne aggiungono circa 100 marginali, è superiore alla richiesta del mercato interno. Quindi bisogna trovare nuovi sbocchi,» ha spiegato Pivetti, il cui obiettivo è aumentare la quota di export, che è bassa, 6 milioni di euro su 80 milioni di fatturato.
«Da qualche mese siamo entrati nella grande distribuzione con confezioni ad hoc, ma si tratta di una nicchia. Il vero business lo vedo all’estero», ha insistito. «Ma è davvero difficile in Italia fare impresa», si è lamentato, «abbiamo investito oltre 7 milioni di euro per costruire un magazzino di 33 mila metri cubi e alto 34 metri in grado di stoccare 6 mila bancali».
L'impianto è pronto da otto mesi ma non può essere messo in funzione perché manca l’autorizzazione a realizzare due pozzi, da cui attingere l’acqua che poi verrà riciclata nel rispetto della sostenibilità ambientale.
«È un sistema che costa di più di quello tradizionale ma lo abbiamo preferito in considerazione della tutela ambientale. Non ci viene contestato nulla, né a livello di falda né a livello impiantistico. Ma le carte passano, senza rilievi, da un ufficio all’altro e nessuno firma, è un labirinto che tiene fermo da otto mesi un investimento considerevole e rallenta il nostro salto di qualità» ha raccontato Pivetti in questa intervista con Italia Oggi.
Domanda: Gli agricoltori si lamentano della scarsa remunerazione del raccolto.
Risposta: Hanno ragione ma la situazione sta migliorando perché adesso puntano sulla qualità, sulla trasparenza, sul biologico e quindi danno valore e ottengono una remunerazione più alta. Ciò potrebbe essere un incentivo ad aumentare la quantità: in Italia si coltiva solo il 40% del fabbisogno nazionale di grano. D’altra parte la sfida coi francesi, che sono i maggiori produttori di grano d’Europa, è sulla qualità, non a caso una nostra linea si chiama Gran Riserva, è il cru del grano, e non sul prezzo perché loro coltivano su latifondi e quindi hanno costi inferiori ai nostri. In più i francesi fanno sistema, c’è chi li aiuta a mettersi insieme, da noi manca una seria politica agroindustriale e all’estero ognuno deve arrangiarsi da solo.
D. Che cosa significa industria 4.0 in un mulino?
R. Non potremmo lavorare 1.100 tonnellate al giorno se non fossimo all’avanguardia tecnologica, ogni carico di grano viene controllato a raggi infrarossi, gli insetti asportati con un setaccio ad alta temperatura di calore, poi avviene la pulizia con una macchina che abbina aria e spazzole, altre impurità vengono eliminate con un sensore ottico prima che il grano arrivi nella sala macinazione. Il tutto governato dal computer. Quando lei mangia una tagliatella, dietro c’è tutto questo.
D. Il consumatore cosa chiede?
R. Grazie a Internet oggi c’è molta più competenza. Inoltre i gusti cambiano in fretta. Sullo scaffale del supermercato il consumatore sa riconoscere i vari tipi di farina mentre panificatori e pizzaioli ci chiedono mix di farine personalizzate, nel catalogo ne abbiamo più di cento ma continuiamo ad aggiungerne. D’altra parte la riuscita del prodotto finale deriva in gran parte dal più appropriato tipo di mix di farine per realizzarlo. Infine c’è più considerazione verso il salutismo.
D. È complicato fare coesistere salutismo e industrializzazione dei prodotti alimentari?
R. In un mondo che presta sempre più attenzione al cibo, è importante capire che rendere sostenibili i processi produttivi a esso connessi favorisce fortemente la sicurezza del cibo, la qualità della nutrizione e la tutela della biodiversità. Una corretta industrializzazione favorisce il salutismo.