Non sarà magari «frizzante» come quella dell'anno scorso, ma l'annata 2019 si preannuncia decisamente buona per le imprese vitivinicole made in Italy sotto il profilo delle vendite. A stimarlo è l'Area studi di Mediobanca nella consueta Indagine sul settore vinicolo italiano e internazionale, dalla quale si evince che «le aziende tricolori brindano a un 2018 da record» e che «prevale l'ottimismo per il 2019, specialmente per la domanda estera».Un settore in buona salute, dunque, quello del vino, che l'anno scorso ha registrato una crescita del fatturato pari al 7,5%, più marcata sul versante domestico (più 9,9%) che su quello internazionale (più 5,3%). Una tendenza che quest'anno sembra destinata a invertirsi, almeno secondo le attese dei produttori di spumanti. Nel complesso, il 10,5% delle imprese intervistate da Mediobanca crede in un aumento del fatturato a doppia cifra percentuale e l'82,6% prevede di non subire un calo del giro d'affari
. Solo il 17,4% si aspetta una flessione dei ricavi. In generale, si legge nello studio, «permane un certo ottimismo, anche se sembrano remote le possibilità di ripetere l'exploit del 2018». In ogni caso, il comparto si conferma come uno di quelli più floridi in Italia. L'incremento delle vendite dell'anno scorso (più 7,5%) assume infatti valore maggiore se si confronta con il calo subito dall'industria manifatturiera (meno 7,2%) e da quella alimentare (meno 4,6%). Non solo: dal 2013 il fatturato del settore vinicolo è cresciuto di oltre il 27%, con l'export salito nello stesso periodo di quasi il 32%. Tutto questo ha portato a un progresso anche dell'occupazione (più 3,7%) e soprattutto degli investimenti (più 25,7%).
La ricerca, che analizza i dati degli ultimi cinque anni delle 168 principali società italiane operanti nel settore con un fatturato 2017 superiore a 25 milioni di euro, esamina anche i dati aggregati delle 14 maggiori imprese internazionali e la dinamica dell'indice mondiale di Borsa delle imprese vinicole quotate negli anni Duemila. Ebbene, dall'inizio del 2001 tale indice è cresciuto del 354,1%, al di sopra dei listini internazionali, che in media hanno segnato un più 163%. Investire nel vino quotato è quindi un buon affare, soprattutto a Wall Street, in Australia e in Francia.
Le società italiane quotate sono solo due – Italian Wine Brands e Masi Agricola – la cui capitalizzazione a metà marzo 2019 era pari complessivamente a 206 milioni. Promettenti sono le dieci aziende che hanno aderito al programma Élite di Borsa Italiana, che potrebbero quotarsi in futuro e che spiccano per l'elevata incidenza dell'export sul fatturato, pari al 73,4%.
Ma le imprese vinicole che registrano il maggiore sviluppo nelle vendite sono le 116 cooperative analizzate (più 9,2%), contro il più 6,7% delle società per azioni e quelle a responsabilità limitata. I vini che crescono di più? I «non spumanti»: più 7,6% (più 7,1% gli spumanti).
Cantine Riunite-Giv si conferma prima azienda per fatturato (615 milioni, più 3,1%), seguita da Caviro (330 milioni, più 8,6%) e Antinori (230 milioni, più 4,5%), primo gruppo non cooperativo. Al top, a livello regionale, i produttori veneti, piemontesi e toscani.
Per le aziende italiane l'Europa resta il mercato estero principale, con una quota del 52% dell'export totale e un incremento del 5,6% rispetto al 2017. In sensibile progresso le vendite in Asia (più 42,2%) e in Sud America (più 11,9%). I principali Paesi stranieri di cui si teme la concorrenza sono Francia e Spagna, seguiti da Cile, Usa e Australia. (riproduzione riservata)