MENU
Azienda Costruzioni

Demografia e nuovi consumi aggravano la crisi immobiliare cinese

Il cambiamento epocale della mentalità della famiglia cinese nelle grandi città e progressivamente anche nelle campagne spinge il modello di business delle grandi immobiliari cinesi verso un vicolo cieco. La diminuzione di matrimoni e i nuovi consumi della generazione Z limitano le possibili soluzioni economiche tradizionali da parte del governo


12/08/2024 19:37

di Marco Leporati*

desktop
Shanghai

L'ultimo tentativo per un minimo recupero delle insolvenze di Evergrande è stato quello da parte di alcuni creditori di adire l’Alta Corte di Hong Kong con l’intento di recuperare sei miliardi di dollari americani, quali proventi di dividendi e remunerazioni, dal fondatore Hui Ka Yan  e da altri sei top managers.

Quanto avvenuto la settimana scorsa, al di là di una minima speranza di successo, non fa altro che avvalorare  lo stato di paralisi commerciale delle proprietà immobiliari che non sembrano  essere rivitalizzate dalla riduzione del costo del danaro deciso dalla People Bank of China (Pboc) di concerto con il governo centrale. Lo stallo che da più di un anno non dà segni di ripresa fatto salvo qualche minimo fuoco di paglia che si smorza sul divenire.

Se da un lato i numeri freddi delle statistiche sono indicatori importanti per comprendere il mercato immobiliare cinese dall’altro è imprescindibile analizzare i comportamenti dei diretti interessati ovvero i consumatori cinesi, coloro che dovrebbero essere i potenziali soggetti attivi delle compravendite.

Negli ultimi quindici anni l’attività immobiliare, così come concepita in Cina, ha seguito reiteratamente lo stesso flusso: aree edificabili o trasformate tali di proprietà dello Stato, in particolare province e municipalità, acquisti delle stesse da parte dei cosiddetti developers (società di investimento private o pubbliche di cui, al netto dei fallimenti, se ne contano ancora un centinaio) attraverso aste per vedersi attribuita l’area con diritto di edificazione ed uso per cinquanta o settanta anni – sulla falsariga del concetto di proprietà del diritto anglosassone- con l’obbligatorietà di avviare il progetto e costruire entro cinque anni dall’ottenimento della concessione pena il riscatto dell’autorità statale.

Questo circolo vizioso  che ha portato nelle casse statali miliardi di dollari finanziati con l'emissione di bond ventennali, oggi di difficile restituzione, ha prodotto  milioni di metri quadrati edificati che fino a quando l’economia cinese ha seguito un volano di crescita molto elevato, ha permesso all’edilizia di rappresentare il 30% circa, incluso l’indotto, del pil nazionale.

Gli anni sono trascorsi e la pandemia ha iniziato a sgretolare questo processo remunerativo non solo per i developers ma anche per soggetti o società cinesi che di questo settore ne hanno fatto una fonte di ricchezza.

Oggi questo meccanismo è prossimo all’esaurimento in quanto il valore degli immobili ha subito nel corso degli ultimi anni e soprattutto nel 2024 un forte deprezzamento pari mediamente al 30%  ma non il valore residuo del mutuo, con le banche che invitano  i clienti alla restituzione del debito anche graduale, non volendo caricarsi di immobili che non avrebbero mercato.

Nel 2007 il rapporto tra indebitamento dei proprietari ed il pil era di circa il 18,9%. Alla fine dello scorso anno aveva raggiunto il 69%.La criticità finanziarie dei primi dieci developers è sintomatica a partire proprio da Evergrande ed è di oggi la notizia  che ad altri due developers, Kaisa Group e Times China Holdings con un totale di 15 miliardi di dollari di debito, l’Alta Corte di Hong Kong ha concesso un rinvio al 9 di settembre per aggiornare il rispettivo piano di rientro.

Mao Zhenhua, Director della Renmin University’s Institute of Economic Research di Hong Kong, sostiene che alla fine dello scorso mese di maggio  vi erano sul mercato 743 milioni di mq con un incremento del 15,8% rispetto all’anno precedente. Fin qui la declinazione di quanto tecnicamente ed economicamente è avvenuto ed è ancora in corso.

Dietro le quinte gli attori protagonisti vivono un cambiamento epocale non solo dovuto alla situazione geopolitica ed economica ma ad una virata di rotta del modello di vita precipuamente familiare. Uno dei desiderata delle famiglie cinesi dagli anni novanta, memore di un modello di vita che si concentrava  su di un appartamento dato dall’azienda statale a seconda del nucleo familiare dai 30 mq ai 60 mq, se si aveva lo status di single o con moglie ed un figlio, era la possibilità di acquistare una nuova casa  nel momento in cui il figlio desiderava sposarsi e creare  un nuovo nucleo familiare.

Oggi secondo gli ultimi dati forniti, il tasso di matrimoni è in forte calo: nei primi sei mesi del 2024, secondo i dati del Ministry of Civil Affairs i matrimoni sono diminuiti del 12,7% rispetto all’anno precedente e per contro si è innalzato il tasso di separazioni e divorzi.

Non solo ma il fattore demografico sta assumendo la connotazione della maggiore criticità per il futuro della società cinese nell’ambito di questa glittering society delle grandi metropoli ma in forma attenuata anche nelle campagne ( meno 0,148% anno su anno).

Una delle ragioni, ovviamente non la sola di questo cambiamento epocale per la Cina, forte di una tradizione millenaria, è il fatto, da non sottovalutare, che il numero degli animali domestici nel 2030 supererà il numero dei bambini con età da zero a quattro anni. Infatti nel 2017 vi erano 90 milioni di bambini entro la fascia di età menzionata e 40 milioni di animali domestici che quest’anno secondo uno studio di Goldman Sach saranno 58 milioni e, appunto nel 2030,70 milioni.

Valeria Zhou, analista di Goldman Sach ha dichiarato che: “ Ci aspettiamo di vedere un favorevole momento per i proprietari di animali domestici ed una relativa diminuzione delle nascite”.

Ciò sta a significare che la Generazione Z non solo non desidera il matrimonio ma certamente non desidera figli immaginando un fosco e difficile futuro e trova affetto senza impegno negli animali domestici.

La domanda è in calo crescente  e non potrà essere bilanciata con l’offerta di cui sopra: tant’è che nell’anno in corso non sono iniziate nuove costruzioni se non quelle per le quali i futuri acquirenti avevano già corrisposto il primo pagamento.

Nel 2001 si costruivano solo a Shanghai 60 grattacieli l’anno che tentavano di svettare dall’impalcature di bamboo con migranti che lavoravano alla luce di lampade a giorno ventiquattro ore per sette giorni. Ormai è solo un ricordo! (riproduzione riservata)

*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da 30 anni


Chiudi finestra
Accedi