Anche in Cina ci sia affida all’emissione di più debito per far riprendere l’economia dall’epidemia di coronavirus. E così, mentre in Europa il premier Giuseppe Conte, come raccontato da MF-Milano Finanza, ha deciso di lanciare una campagna per convincere il governo tedesco e la cancelliera Angela Merkel a far cadere le resistenze al ricorso al debito comune per affrontare le ripercussioni dell’emergenza covid-19, il politburo del Partito Comunista cinese indica nei titoli di Stato dedicati alla crisi uno degli strumenti a disposizione per traghettare la seconda economia al mondo verso il rilancio.
È pur vero che a marzo l’indice Pmi non manifatturiero ufficiale ha ripreso terreno; la lettura si è attesta a 52,3 punti, in netto rialzo dai 29,6 di febbraio, quando la Repubblica Popolare era nel pieno dell’emergenza sanitaria.
A fare da traino è stato soprattutto il settore dei servizi, mentre le costruzioni sono rimaste sotto la soglia dei 50 punti che segna lo spartiacque tra la fase di espansione e quella di contrazione. Un segnale incoraggiante ma non ancora il ritorno alla normalità, avvisano gli analisti di Citi, i quali stimano per il primo trimestre dell’anno una contrazione dell’8% dell’economia del Dragone.
Già in passato Pechino aveva fatto ricorso a emissioni dedicate a scopi precisi. Nel 1998 all’epoca delle riforme del premier Zhu Rongji - ricorda Haitong Securities - collocò titoli per 38 miliardi di dollari con l’intento di sostenere le quattro grandi banche pubbliche del Paese. Di nuovo nel 2007 l’emissione da 200 miliardi di dollari servì alla costituzione della China Investment Corporation, il fondo sovrano di Pechino.
A livello societario, inoltre, aziende private e colossi statali hanno già iniziato dallo scorso febbraio a finanziarsi con obbligazioni specifiche per investire nell’emergenza, ma anche per rifinanziare debito pregresso. Gli esperti si attendo che l’ammontare di coronabond sovrani possa aggirarsi attorno ai mille miliardi di yuan, pari a 141 miliardi di dollari.
Risorse che andrebbero a sommarsi ai collocamenti delle amministrazioni locali. Dalla cassetta degli attrezzi a disposizione dei governi di municipalità e province spunta infatti la decisione di allentare le restrizioni all’indebitamento e di alzare la quota di risorse raccolte destinata alle infrastrutture.
Secondo una stima di Yang Zhiyong, ricercatore all’Accademia della Scienze Sociali, il principale think tank governativo, citato dall’agenzia Xinhua, il solo portare il rapporto deficit-pil al 3,2% libererebbe 400 miliardi di yuan, ossia quasi 57 miliardi di dollari, da destinare al sostegno dell’economia.
Come indirizzare tali risorse è però argomento di dibattito. Nel Paese monta la discussione sull’ipotesi di mettere i soldi direttamente in tasca ai cittadini e non invece puntare sulle infrastrutture, come fatto dieci anni fa per tirarsi fuori dalle secche della crisi finanziaria globale.
«Quello che abbiamo visto dal punto di vista fiscale è stato interessante: grazie alle agevolazioni la popolazione ha avuto accesso a più denaro contante», sottolineano gli analisti del Team Equity di M&G Investments. «Tuttavia in generale il denaro risparmiato è stato una conseguenza dell’isolamento (essenzialmente il rinvio dell’opportunità di spendere) oltre che di una propensione al risparmio intrinseca in Cina, dove non esiste alcun programma di previdenza sociale e i tassi di risparmio sono molto più alti che nelle economie sviluppate. Questo guadagno di cassa inatteso, quindi, non necessariamente svolge un ruolo nel proteggere l’economia nell’immediato, ma è ciò che noi consideriamo consumo differito». (riproduzione riservata)