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Pechino libera liquidità per le pmi, i consumi su dell'8% nel 2019

La People bank of China, la banca centrale, taglia di 50 punti i coefficienti di riserva delle banche, decisione che sblocca risorse per 115 miliardi di dollari. Intanto per il 15 gennaio è attesa la firma della fase-1 dell’accordo commerciale con gli Usa sui dazi. Nel 2019 le vendite totali di beni di consumo hanno toccato il record da 6 anni a 5,2 triliardi di euro


02/01/2020 10:48

di Marco Romano - Class Editori

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Li Keqiang, primo ministro cinese

Come regalo di inizio anno Pechino si è mossa per ridurre i costi di finanziamento delle piccole e medie imprese. Ieri la People’s bank of China, ossia la banca centrale del Paese, ha annunciato il taglio di 50 punti base dei coefficienti di riserva per gli istituti di credito. La misura sarà operativa da lunedì e di fatto libererà 800 miliardi di yuan, circa 115 miliardi di dollari, che le banche potranno destinare al finanziamento delle aziende.

La mossa era attesa. In un recente intervento pubblico il primo ministro Li Keqiang aveva annunciato misure mirate per sostenere le realtà più vulnerabili dell’economia nazionale. Il taglio dell’ammontare di liquidità che le banche devono detenere è l’ottavo dal 2018, di cui tre sono stati decisi nell’anno appena trascorso. Dal 6 gennaio quindi il coefficiente scenderà al 12,5% per le banche più grandi, mentre per quelle di medie e piccole dimensioni sarà rispettivamente al 10,5 e al 7%.

Nel 2019 la Repubblica Popolare è cresciuta al ritmo più lento degli ultimi tre decenni e nel 2020 il tasso di espansione dell’economia potrebbe scendere sotto la soglia psicologica del 6%, anche se i dati che incominciano ad affluire sui consuntivi 2019 indicano ancora una buona tenuta dell'economia, nonostante la guerra dei dazi.

Una fonte ufficiale ha dichiarato che le vendite totali di beni di consumo sono cresciute l'anno scorso dell'8% toccando 41.1 trilioni di yuan, pari a circa 5.200 miliardi di euro, quasi tre volte tanto il pil italiano. Secondo Wang Bin, vice direttore del dipartimento  che si occupa della promozione dei consumi al Ministero del commercio di Pechino, quella cifra contribuisce per circa il 60% alla crescita economica dell'intero paese, come ormai sta facendo da sei anni consecutivi.

Sulla contesa commerciale con gli Stati Uniti sembra durare il cessate-il-fuoco che ha impedito l’attivazione di nuove tariffe per 160 miliardi di dollari sulle importazioni cinesi negli Usa e contro-misure per circa 50 miliardi sulle merci a stelle e strisce.

L’accordo della cosiddetta fase-1 sarà firmato entro metà mese. La sigla arriverà per il 15 gennaio, ha ribadito il presidente statunitense Donald Trump. ««La cerimonia avrà luogo alla Casa Bianca», ha precisato su Twitter. «Saranno presenti rappresentanti di alto livello della Cina. In seguito andrò a Pechino, dove inizieranno i colloqui sulla fase-2».

Finora le due parti sono state parche di dettagli sulle 86 pagine che compongono il documento, diviso in nove capitoli, dalla tutela della proprietà intellettuale a meccanismo di risoluzione delle dispute. I cinesi si sono impegnati a comprare 200 miliardi di dollari di merci cinesi nei prossimi due anni, di cui 40 miliardi in prodotti agricoli e soglia. Inoltre hanno fatto aperture sullo stop ai trasferimenti forzati di tecnologia. A sua volta l’amministrazione Trump, oltre a bloccare l’entrata in vigore di nuovi dazi, ha acconsentito di dimezzare dal 15 al 7,5% le tariffe imposte su 112 miliardi di dollari in merci dalla Cina.

Intanto con il nuovo anno non si placano le proteste a Hong Kong. Ieri, secondo gli organizzatori, almeno un milione di manifestanti ha partecipato alla protesta antigovernativa convocata per Capodanno. La manifestazione è stata interrotta dopo alcune ore per lo scoppio di violenze che hanno portato ad almeno 400 arresti. Ci sono stati assalti a filiali di Hsbc e contro l’Alta Corte. La polizia ha risposto con l’uso degli idranti e sparando gas lacrimogeno.

Le proteste scatenate dagli emendamenti alla legge sull’estradizione sono ormai entrate nel settimo mese. Secondo un sondaggio di Reuters, le ragioni del movimento, che lamenta il progressivo erodersi delle libertà nell’ex colonia britannica tornata sotto la sovranità cinese nel 1997, sono condivise dal 59% degli abitanti di Hong Kong. Soltanto una minoranza, però, è favorevole all’indipendenza dalla Repubblica popolare. (riproduzione riservata)


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