Il governo locale di Shanghai ha annunciato, lo scorso gennaio, una nuova serie di provvedimenti volti a supportare l’affermazione della città come capitale della finanza internazionale entro il 2020, anno in cui dovrà diventare la sede di istituzioni finanziarie consolidate, capaci di offrire ai propri clienti una vasta gamma di strumenti e servizi finanziari moderni e globalmente competitivi. Proprio in tal senso risulta necessaria la presenza di operatori finanziari internazionali, ai quali dovrà essere consentito di accedere a tutti i settori di attività e di operarvi in condizioni di equità e con parità di trattamento rispetto agli operatori domestici.
Tuttavia, ad appena pochi mesi dalla scadenza del 2020, sussiste ancora un considerevole divario fra i propositi annunciati e la realtà. Sebbene Shanghai sia indiscutibilmente il centro finanziario della Cina continentale (condizione meritatamente rappresentata nell’ultimo Global Financial Centres Index, pubblicato a marzo di quest’anno, dove Shanghai risulta essere alla quinta posizione a livello globale) molto ancora dovrà essere fatto per consentire alla città di essere direttamente competitiva con Londra e New York. Ciò che a Shanghai manca per diventare un centro finanziario internazionale (come Londra o New York) è l’aggettivo «internazionale». Detto senza mezzi termini, il settore finanziario a Shanghai non è ancora internazionale come gli operatori vorrebbero.
Esistono ancora numerose barriere all’ingresso che frenano la crescita degli operatori finanziari internazionali nel mercato cinese, nonostante a partire da giugno 2018 siano stati compiuti sforzi significativi per la liberalizzazione del settore finanziario, come la rimozione dei limiti alla titolarità delle banche straniere, l’incremento dal 49% al 51% del limite massimo di partecipazione di soggetti stranieri alle joint venture sino-estere sia finanziarie che di intermediazione mobiliare e assicurative, e il governo cinese abbia spostato in avanti, al 2020, il termine per la liberalizzazione del settore. Per esempio, gli istituti bancari stranieri devono ancora far fronte a ritardi nell’emissione delle licenze e a soglie minime elevate per il capitale, l’azionariato e la crescita patrimoniale. A causa delle eccessive restrizioni, la quota di mercato per le banche straniere era solo pari al 1,29% nel 2016. Lo stesso vale per il settore degli strumenti finanziari, dove i ritardi nell’emissione delle licenze e le alte soglie minime impediscono la partecipazione delle banche internazionali al mercato finanziario e alla possibilità di introdurre le best practice volte a dare stabilità al mercato. In questo modo si inibisce sia l’affermazione di Shanghai come centro finanziario globale che lo sviluppo del sistema finanziario cinese. Tuttavia, in futuro diventerà ancor più importante sviluppare un adeguato ecosistema finanziario, in quanto il settore finanziario cinese è giunto a un punto in cui risulta indifferibile l’intervento delle autorità competenti per una riforma d’insieme del mercato.
Idealmente, tali riforme dovrebbero comprendere l’introduzione di una regolamentazione efficiente per le procedure di insolvenza, l’incremento della partecipazione delle agenzie internazionali di rating, l’implementazione di sistemi per la corretta definizione del prezzo degli strumenti finanziari, l’internazionalizzazione del mercato cinese dei capitali. A tal proposito, la recente inclusione dei bond e A-share cinesi nei due rispettivi indici internazionali risulta incoraggiante. L’adozione di queste riforme è essenziale affinché Shanghai possa realizzare la propria ambizione entro il 2020 o in un momento successivo. (riproduzione riservata)
*vicepresidente nazionale e presidente della sezione di Shanghai della Camera di commercio dell'Unione Europea in Cina (Euccc)