Da predatore a preda. Rischia di concludersi così la parabola di TikTok, la popolare piattaforma cinese di condivisione video che dopo aver fatto incetta di utenti nel mondo, tanto da arrivare a minacciare i rivali Facebook & Co. si è ritrovata sotto il fuoco incrociato di Usa e Cina in scia alle accuse di spionaggio mosse ai danni del Dragone e al caso Hong Kong. Sì, perché stando alle voci riportate dalla stampa internazionale, il portale di proprietà del gruppo di Pechino ByteDance sarebbe finito nei radar di alcuni primari fondi di investimento americani intenzionati a cavalcare l’onda tech per rimpolpare i profitti dopo la parentesi Covid.
Secondo il Financial Times, in pole ci sarebbero il gigante del venture capital californiano Sequoia, che ha finanziato l’ascesa di colossi come Apple, PayPal e Google, e il private equity da oltre 30 miliardi di dollari di asset in gestione General Atlantic, per il quale dal luglio 2019 agisce come super consulente niente meno che Vittorio Colao, il top manager italiano scelto dal governo per guidare la task force chiamata al rilancio economico del Paese. Rispetto ad altri pretendenti, i due gruppi, già piccoli soci della compagnia, sarebbero riusciti a intavolare discussioni concrete per rilevare la maggioranza di TikTok. E a sorpresa, proprio nella tarda serata di venerdì 31, si sono moltiplicate le voci di un forte interesse da parte di Microsoft, che avrebbe cominciato dei negoziati per l’acquisto del social e cui Trump ha dato 45 giorni per chiudere la partita.
Al momento non sono noti i termini dell’offerta ma le dimensioni dell’operazione promettono di essere tra le maggiori del settore, soprattutto se si considera che durante l’ultimo round di finanziamento, che ha visto l’ingresso di SoftBank nel 2018, ByteDance è stata valutata oltre 75 miliardi di dollari e punterebbe a raggiungere 6 miliardi di entrate nel 2021. Il social vanta oltre 700 milioni di utenti attivi su base mensile a livello globale e circa 2 miliardi di download totali dall’anno della fondazione nel 2016, con entrate pubblicitarie mensili stimate a febbraio sui 50 milioni di dollari e un target di ricavi 2020 di miliardo. Numeri che hanno spinto l’agenzia Reuters a ipotizzare, anche in base alle informazioni di una fonte, un’offerta sui 50 miliardi di dollari.
Ad aprire lo spiraglio per una vendita ha contribuito l’ultima serie di disavventure occorse al gruppo cinese, iniziata con l’approvazione della contestata legge sulla di sicurezza di Hong Kong a giugno. In quel momento, ByteDance, da tempo intenta a sradicarsi dalla Cina per spostare le operazioni negli States, ha deciso di schierarsi con la Casa Bianca allineandosi a Facebook, WhatsApp e Instragram e annunciando l’interruzione del servizio TikTok nella Città-Stato. Una presa di posizione rivelatasi totalmente inefficace sul fronte americano, dove nel frattempo il Comitato per gli investimenti esteri negli Usa ha sollevato timori sulla sicurezza dei dati degli utenti, sollecitando il segretario di Stato Mike Pompeo a considerare l’estromissione della piattaforma.
Di lì in poi una sequela di indagini aperte in altri Paesi per valutare i legami tra TikTok e la Cina, con la minaccia di ulteriori possibili ban: dall’India, che già prima aveva bloccato gli account sulla piattaforma come ritorsione per gli scontri sul confine con la Cina, all’Australia e infine al Pakistan, contrario ai contenuti «immorali» veicolati dal social. Da qui il possibile riavvicinamento al Dragone di ByteDance, che secondo le ultime indiscrezioni avrebbe iniziato a valutare la quotazione delle sue attività cinesi a Hong Kong o Shanghai anziché Wall Street. (riproduzione riservata)