«Stiamo lavorando con l’Agenzia regolatoria cinese per far sì che i nostri prodotti possano avere un’autorizzazione il più celere possibile, grazie al fatto che ultimamente i tempi di avvio di un protocollo registrativo sono passati da un anno a 60 giorni», ha dichiarato Albert Lim, ceo di Menarini Asia-Pacific, la controllata nell'area della casa farmaceutica fiorentina, 3,6 miliardi di fatturato nel 2017, che sta puntando fortemente allo sviluppo in Estremo Oriente, facendo perno soprattutto sul mercato del Dragone.
L'obiettivo è arrivare a 1 miliardo di fatturato nell'area entro il 2022, come ha dichiaratoa Singapore Luca Castrucci, responsabile dell'area Asia-Pacific. «Il lavoro che abbiamo fatto in questi anni comincia a farsi notare anche nei Paesi dove prima non ci conosceva nessuno. Potremmo farcela anche prima a superare il miliardo, a patto che i nostri sforzi per penetrare in maniera più solida in Cina si concretizzino, magari con nuove acquisizioni e licenze», ha precisato il manager, puntualizzando che attualmente nell'area la redditività è positiva.
In Cina Menarini si è concentrata su un farmaco,la Sabarubicina, che combatte un particolare tipo di tumore al polmone, con l’obiettivo di una registrazione in classe 1, la più rilevante per l’autorità regolatoria cinese, ma ci vogliono almeno sei anni per arrivare a commercializzare un prodotto in Cina e per sviluppare ricerche in loco, gli investimenti toccano 15 milioni di euro per prodotti già registrati nel resto del mondo.
La via del mercato del Dragone è costellata di difficoltà a ogni passaggio. «Ogni confezione deve essere tracciabile, dal produttore al venditore: l’autorità cinese comunica al produttore i numeri seriali e il produttore appone sulla confezione un codice specifico. Poi i prodotti vanno registrati nei prontuari delle province», ha precisato un manager di Menarini a Milano Finanza, «successivamente è necessario andare in ogni ospedale per farsi inserire nei loro prontuari, visto che manca il medico di base e il cuore del mercato è negli ospedali». In Cina dal 1990 dopo l’acquisizione di Berlin Chemi, operativa a Shanghai, Pechino e Wuhan, è la prima farmaceutica di proprietà interamente estera e nel 2017 ha registrato un fatturato sul mercato locale vicino a 50 milioni di euro.
Il secondo mercato importante nell'area, dopo quello cinese è l'India, la più grande farmacia del mondo, dove le multinazionali sono invogliate ad entrare per le dimensioni dei consumi e i bassi costi di produzione, il 30% in meno rispetto agli Usa. Però il made in India è afflitto da uno standard di produzione basso e la multinazionale estera può contribuire a migliorare questa percezione.
Menarini è in India dal 1994 con un centinaio di prodotti di cui 20 su licenza, un fatturato di circa 19 milioni di euro. «Il mercato è grandissimo e in continua espansione, con un +8% annuo a valore, ma le criticità stanno aumentando», ha avvertito Pio Mei, direttore generale dell’azienda fiorentina.
Il basso ricavo medio a confezione, circa 58 centesimi di euro, anche per prodotti di alta qualità, il moltiplicarsi delle copie, concausa dei bassi ricavi e la scarsa protezione del brevetto, sono i motivi principali individuati dal manager. «Non lanceremo gli ultimi antibiotici per il trattamento ospedaliero delle infezioni, che distribuiremo invece in Europa e nella regione Asia-Pacific, per una lista di antibiotici che servono. Le autorità non ci riconoscerebbero un prezzo adeguato e i negoziati avvengono in maniera poco trasparente», ha rivelato recentemente Mei a Mf International.