Il problema numero uno è riempire i treni, quelli che dall'Europa tornano in Cina semivuoti, dopo che pochi giorni hanno attraversato il confine cino-kazako al terminal merci di Korghos, con i container pieni delle merci cinesi per i mercati europei.
«Quando tornano a Korghos per rientrare in Cina trasportano non più del 10% delle loro capacità», ha assicurato Pasquale D’Avino, ambasciatore italiana ad Astana, la capitale dell’immenso Kazakistan, 2,7 milioni di chilometri quadrati, metà dell’Unione europea, ma solo 18 milioni di abitanticon un reddito pro capita di oltre 24 mila dollari (a parità di potere d'acquisto) e un'economia in crescita del 3%.
«Noi italiani dobbiamo avere una strategia per riempire con le nostre merci quei treni che tornano in Cina semivuoti». Pasquale D’Avino è da poco meno di un anno ad Astana, la capitale di un Paese che sta sfruttando per crescere l’impatto dalla strategia Belt & Road, concretizzatasi in un programma da 20 miliardi di dollari per ammodernare le strutture di base, strade, ferrovie, reti ed edifici pubblici.
Il valico di Korghos, gestito da DP World, il gruppo di logistica globale che fa capo all’Emiro di Dubai e vicepresidente degli Eau, Al Maktoum, è il termometro dell'impatto della Belt & Road. «Dieci anni fa non c’erano transiti da Korghos, 5 anni fa hanno incominciato ad arrivare i primi container, oggi ne passano centinaia al giorno, forse migliaia» ha raccontato D’Avino.
Sono container che dopo aver superato il cambio di scartamento tra le ferrovie cinese e quelle kazake, prendono due direzioni diverse: una parte va verso Mosca e da qui prosegue verso le repubbliche baltiche per finire in Nord Europa e Germania, l’altra punta a sud verso il mar Nero e l’Iran, da cui poi viene reindirizzata in Europa centrale, via Baku in Azerbaigian o la Turchia.
Per far scorrere nuova linfa dall’Europa e dall’Italia lungo queste nuove vie della Set, D’Avino, tenendo fede alla sua missione di ambasciatore ad Astana, consiglia di puntare le carte sul Kazakistan, dove, sostiene, le opportunità per le aziende italiane sono enormi. Si tratterebbe, infatti, non solo di soddisfare le esigenze industriali e di consumo dei 18 milioni di abitanti, ma soprattutto di attrezzare un trampolino di lancio verso l’enorme mercato cinese, che con il Kazakistan ha stretto accordi di libero scambio su tutti i fronti.
«Il modello da seguire è quello del gruppo Cremonini,» ha spiegato D’Avino, facendo riferimento all’iniziativa di Inalca (gruppo Cremonini), il principale produttore italiano di carne, che ad Almaty nell’est del paese, a due ore di aereo dalla capitale, e vicino a Korghos, sta avviando un centro di stoccaggio, lavorazione e distribuzione di carni confezionate, destinate in un vicino futuro al mercato cinese.
La scelta del gruppo emiliano da oltre 4 miliardi di fatturato, fondato e diretto da Luigi Cremonini e dal figlio Vincenzo, è sostenuta dal fatto che la materia prima che sarà lavorata ad Almaty arriverà in buona parte dagli allevamenti e dal macello già in attività nella regione di Oremburg, nella Russia meridionale, vicino al confine occidentale del Kazakistan.
Opportunità interessanti potrebbero esserci anche per aziende dell’agri-business interessate alla lavorazione del grano. «Ci sono sterminati campi di grano, che alla fine forniscono mangime per gli animali, invece di essere impiegati per farne paste e altri prodotti a maggior valore aggiunto» ha insistito D’Avino, che ha fatto contattare produttori italiani, per invogliarli a investire, spiegando che le autorità locali danno incentivi su tutto, dall’acquisto del terreno alle esenzioni fiscali per anni.
Insieme al grano anche i pomodori potrebbero essere un buon terreno di coltura degli interessi italiani, come ha riconosciuto Pomorete, l’associazione dei produttoriche promuove in Italia e all'estero la filiera.
Ma mentre i grandi gruppi come Cremonini o i francesi di Lactalis, che appena lanciato in Kazakistan la produzione del burro President, si autofinanziano, per le aziende medio-piccole la difficoltà a trovare finanziamenti adeguati potrebbe essere, una barriera insuperabile per avviare degli investimenti.
Tuttavia, il Kazakistan presenta aspetti più favorevoli rispetto ad altri paesi dell’area. Da un lato , infatti, sono attive le agenzie internazionali, Asian Development Bank, la Banca Europea di Ricostruzione e Sviluppo e la stessa World bank e in particolare all'Asia Development bank è particolarmente attivo e punto di riferimento per le imprese italiane, Giovanni Capannelli, direttore della missione in Kazakistan di Adb.
Dall’altro lato sono in campo iniziative bilaterali del fondo sovrano kazako Samruk Kazyna, 67 miliardi di dollari di asset, e della Cassa depositi e prestiti, che si sono accordate per co-finanziare nuovi progetti. «È prevista la costruzione di nuovi impianti per la produzione di componenti per oil&gas e nella distribuzione alimentare e dell’agricoltura 4.0,» ha fatto sapere Guido Rivolta, ceo di Cdp Equity, «verrà anche valutata la possibilità di localizzare future produzioni con l’impiego di tecnologia italiana, sia da parte di compagnie italiane che kazake, facendo lavorare le aziende manifatturiere e agricole partecipate da Cdp Equity». Ma sono passati due anni dalla firma di quell’accordo e tranne l’investimento di Inalca-Cremonini, nulla è stato fatto.
«Il problema è che la disponibilità a finanziare c’è, ma non arrivano i progetti,» ha constatato D’Avino, che insite sulle opportunità per le medie aziende, quelle che dovrebbero riempire con i lroo prodotti, soprattuttio nella filiera dell'agribusiness i treni in partenza per Korghos e la Cina.