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Industria

Cadono tutti i limiti agli investimenti esteri nell'auto in Cina

Dal primo gennaio sono stati liberalizzati due nuovi settori strategici, quello dell'auto e delle apparecchiature di ricezione satellitare: vi si potrà investire controllando le nuove società al 100%. Si aprono nuove opportunità per gli investimenti diretti greenfield ma soprattutto per acquisire aziende cinesi. Che cosa farà l'Italia?


06/01/2022 11:41

di Marco Marazzi*

settimanale
La Polestar Praecept, l'elettrica premium del gruppo Geely

Dal primo gennaio scorso sono entrate in vigore le ultime due "Negative list" che periodicamente aggiornano i settori in cui in Cina gli investimenti esteri sono proibiti o diversamente "limitati". La prima si applica su tutto il territorio nazionale, la seconda solo nelle "pilot free trade zones".

Nella nuova lista nazionale il numero di industrie in cui ci sono limitazioni è stato ulteriormente ridotto da 33 a 31 dalle 63 del 2017. La modifica più significativa è la rimozione di ogni limite agli investimenti nel settore automobilistico. 

Dal 1 gennaio 2022, dunque, le aziende straniere potranno avere il 100% di un'azienda in questo settore e non saranno limitati come in passato nel numero di aziende cinesi che possono costituire.

In Cina sono già presenti moltissimi costruttori di automobili: circa il 28% degli investimenti totali di aziende UE nel Dragone è nel settore automobilistico, sia produzione di vetture che componentistica, e il mercato è fortemente competitivo. 

È prevedibile quindi che l'impatto più immediato di questa nuova lista sarà quello di consentire ai player esistenti di passare in maggioranza nelle varie joint ventures dove prima erano limitati al 50% del capitale. 

Uno sviluppo positivo è anche possibile per chi intende fare ingresso nel mercato ora, visto che - non obbligando ad avere un socio cinese - riduce anche i rischi di "leakage" di tecnologia che finora avevano tenuto lontane alcune aziende.    

Ma c'è di più: mentre tradizionalmente quando si pensa ad investimenti in Cina si immaginano progetti greenfield, nulla esclude nella normativa che l'ingresso sul mercato o l'ampliamento della propria presenza possa prendere la forma di acquisizione di un'azienda già esistente.

L'altro settore aperto dalla nuova Negative list è quello delle apparecchiature utilizzate nella televisione satellitare. Restano off-limits, come da sempre, tutti i settori dell'editoria e dei media in generale, così come quello delle terre rare, settore su cui la Cina vuole mantenere il controllo delle aziende statali, ed altri che tradizionalmente sono vietati a investimenti esteri in quasi tutta l'Asia.  

Punto interessante: nel campo delle sementi (dove di recente il governo italiano ha messo un veto ad ingresso di un colosso svizzero a controllo cinese), la Negative list invece prevede che le aziende straniere possano investire a patto che almeno il 34% sia di proprietà cinese.  

Restano i limiti già previsti dalle vecchie liste nel settore telecomunicazioni e servizi internet. Su questo punto, il famoso "CAI", il trattato UE-Cina sugli investimenti, offriva qualche apertura per le aziende europee, per esempio nei servizi cloud ed altri, che andavano oltre le Negative list, ma il Parlamento Europeo ha deciso di sospendere indefinitamente la ratifica del trattato.  

Stessa cosa per il settore delle cliniche e dei servizi alla salute, dove il CAI di nuovo offriva delle aperture - volute specie dai francesi - molto ampie, ma che sono rimaste lettera morta insieme a tutte le altre previsioni del CAI tese ad assicurare pieno "trattamento nazionale" alle aziende europee in Cina.

Un ulteriore punto importante affrontato dalle nuove normative riguarda la quotazione di aziende cinesi all'estero. Negli ultimi mesi la stampa internazionale aveva ipotizzato che il Paese avrebbe vietato le quotazioni del tutto; in realtà, la cosa oltre a non essere praticabile sarebbe stata anche controproducente.

Il governo ha ora chiarito che se le aziende cinesi che operano nei settori in cui l'investimento estero è vietato vogliono quotarsi all'estero (e quindi accogliere capitali esteri) dovranno ottenere una speciale esenzione e dovranno sottostare ad alcune condizioni. Regolamenti di dettaglio verranno emanati nei prossimi mesi. 

La vita delle aziende cinesi che vogliono quotarsi a New York, la piazza estera preferita, è comunque resa più difficile già dai vari requisiti americani imposti di recente, tant'è che sempre più aziende cinesi, e non solo, scelgono la strada della quotazione ad Hong Kong.

Nel complesso, le aperture contenute nelle Negative list sono importanti perché ribadiscono che la Cina viaggia nella direzione di maggiore e non minore apertura, ma sono forse meno utilizzabili dalle aziende italiane, che continuano a vedere il mercato cinese come un mercato di export invece che di investimento.

Le cifre, nonostante qualche eccezione recente, parlano da sole: l'Italia continua a essere terza o anche quarta in Europa come stock di investimenti diretti nel Paese e gli investimenti sotto forma di acquisizioni sono stati pochissimi, mentre gli imprenditori preferiscono per lo più investimenti greenfield. 

Questa strategia limita anche il potenziale di export dato il legame ormai comprovato tra investimenti diretti e flussi commerciali. Chissà se alla ripresa dei viaggi d'affari vedremo un'inversione di tendenza: non ci si può lamentare dei volumi degli investimenti cinesi in Italia (peraltro calati negli ultimi 2 anni) se non si è pronti ad utilizzare le aperture "reciproche" della Cina. (riproduzione riservata)

* avvocato, partner di Baker & McKenzie e presidente Easternational

 

 

 


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