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Politica

D'Andrea: la Via della Seta ha bisogno di strumenti per risolvere le dispute

Da un sondaggio condotto tra le aziende europee in Cina emerge come il 55% degli intervistati consideri la nuova Via della Seta come un opportunità. Le differenze tra i sistemi giuridici dei Paesi coinvolti mettono però a rischio l'attuazione dei contratti. I Tribunali commerciali di Xi'an e Shenzhen sono un primo passo.


14/02/2019 18:11

di Mauro Romano - Class Editori

Alla Belt and Road servono tribunali commerciali
Carlo Diego D'Andrea

Senza certezze sul reale possibilità di far rispettare gli impegni contrattuali, i progetti e le partnership lanciate nell’ambito della Belt & Road Initiative potrebbero essere messe a rischio.  Da un sondaggio condotto tra le aziende europee in Cina emerge come il 55% degli intervistati consideri la nuova Via della Seta come un opportunità. “Tuttavia, gli investitori più avveduti sanno che i guadagni portano con sé anche i rischi. Confidano quindi nell’accesso equo a corti per sanare eventuali dispute”, scrive Carlo Diego D’Andrea , vice presidente della Camera di Commercio europea in Cina, in un intervento sul giornale online dell’ente Eurobiz.

I timori nascono dalla natura stessa del progetto lanciato nel 2013, capace di coinvolgere più Paesi, con diversi livelli di sviluppo politico ed economico e differenti sistemi giudiziari.

“La prima sfida per un progetto nell’ambito della Belt and Road è assicurare impegni condivisi attraverso contratti giuridicamente applicabili ed esaurienti”, aggiunge D’Andrea che sottolinea, “I contratti non saranno di alcuni uso se leggi e regolamenti continueranno a cambiare, come avviene nei mercati emergenti” Oltre a capire la solidità e la trasparenza dei termini, le parti coinvolte devono capire l’ecosistema legale dei Paesi coinvolti nell’iniziativa o il sistema legale scelto”.

Il 92% dei Paesi che attualmente partecipano alla nuova Via della Seta sono firmatari della  Convenzione di New York per il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere. Sarebbe quindi utile che i contratti prevedano quanto meno clausole che prevedano arbitrati o giurisdizione  in uno di questi Paesi.

Il centro internazionale di arbitrato di Hong Kong , che prevede specifiche clausole proprio sulle dispute lungo la nuova Via della Seta, potrebbe essere la sede primaria: dal 2013 ha già gestito 362 casi riguardanti parti di giurisdizioni nella Belt & Road.

“Ci sono però circostanze  nella quali evitare di essere soggetti alla leggi locali è impossibile”, ha sottolineato D’Andrea.  Per  scongiurare un tale scenario, la Corte suprema del popolo ha istituite due Corti commerciali internazionali, una a Shenzhen e l’altra a Xi’an, la prima dedicata alle tratte marine della Belt & Road, la seconda ai collegamenti  terrestri. Le corti saranno composte da otto giudici, assistiti da un pane di esperti dalle diverse giurisdizioni che partecipano alla Via delle Seta. L’ultima parola spetterà comunque ai giudici, provenienti dalla stessa Corte suprema del popolo. Le sentenze saranno definitive.

L’istituzione del tribunale commerciale è l'inizio del ambizioso tentativo di accrescere l’appeal delle corti cinesi agli occhi del business internazionale, conclude il vicepresidente della Camera di commercio europea. Occorrerà capire se influirà sulla scrittura degli accordi. Allo stato attuale è comunque una valida soluzione  per risolvere le dispute, soprattutto quelle inerenti Paesi con sistemi legali meno sofisticati.


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