Una Cina aperta, ma non ancora del tutto, quella su cui riflette la prima parte del XIV rapporto annuale di Iccf-Italy China council foundation, l’ente nato dall’integrazione tra la fondazione Italia Cina e la Camera di commercio italo cinese. Numeri alla mano, la relazione, elaborata dal Centro studi Iccf e presentata ieri a Milano, ha posto l’accento sulla ripartenza della Cina nel primo trimestre 2023. Se i consumi sono stati il vero motore della ripartenza, la crescita è stata tuttavia disomogenea, a fronte del calo delle esportazioni e degli investimenti. Molti comunque i segnali positivi, a partire da quel +4,5% di prodotto interno lordo che fa ben sperare. «Ci attendiamo che il pil cinese superi nell’anno il 5%, un limite del quale la Cina ha bisogno per svilupparsi», ha spiegato a MFF il presidente della fondazione Mario Boselli. Segno più anche per i servizi (+5,4%), la produzione industriale (+3,3%) e manifatturiera (+2,8%) e vendita al dettaglio (+5,8%). Cifre che al momento soddisfano Pechino, che ha mantenuto un atteggiamento accomodante e prudenziale in ambito fiscale e monetario, ma stimoli potrebbero arrivare in caso di un improvviso calo dei consumi e di nessun segnale di ripresa da parte di export e investimenti.
Intanto, evidenzia il rapporto, Italia e Cina intrattengono solide relazioni commerciali. Nel 2022, il valore dell’interscambio complessivo ha raggiunto, secondo i dati Istat, 73,9 miliardi di euro, in aumento del 36,3% su base annua, di cui 57,5 miliardi (+49%) di importazioni dalla Cina in Italia e 16,4 miliardi (+0,5%) di esportazioni italiane in Cina. A fronte della crescita del deficit commerciale italiano nei confronti della Cina, la sfida di Iccf per il breve termine sarà quella di «andare fisicamente in Cina, incontrare gli imprenditori locali per costruire nuove iniziative produttive o distributive. Se non ci si stringe la mano e ci si parla direttamente, sarà difficile fare nuove cose. Questo è il problema maggiore che abbiamo oggi», ha spiegato Boselli. Nel complesso, la Cina rappresenta il decimo mercato di destinazione per l’export italiano, il quarto extra-europeo e il primo in Asia. Il Paese del Dragone, inoltre, è il secondo fornitore dell’Italia, dopo la Germania, mentre l’Italia è il 24° fornitore della Cina e il suo 22° mercato di sbocco. Nel 2022 la quota di mercato della Cina sul totale dell’export italiano è stata del 2,6%. A livello regionale, le regioni più importanti per l’interscambio commerciale tra Italia e Cina sono state Lombardia (33,8% export e 39,8% import), Emilia-Romagna (16,7% export e 10,25% import) e Piemonte (11,8% export e 7% import).
Quanto ai settori, quelli che hanno rappresentato in termini valoriali i tassi di crescita più interessanti nel 2022, in linea con gli sviluppi in seno al mercato cinese, sono stati il tessile e l’abbigliamento (+12,4%, pari a 3,5 miliardi di euro), il farmaceutico (+50%, pari a 1,5 miliardi) e chimico (+20,8%, pari a 1,43 miliardi). Oltre a incoraggiare le collaborazioni strategiche con partner in loco per facilitare l’attività imprenditoriale, sfruttando i canali esistenti e avvicinandosi così ai consumatori finali, Iccf ha spronato le aziende a investire nella digitalizzazione, perno di qualunque strategia per il dinamico mercato cinese sia sul fronte dei prodotti di consumo e dei servizi, sia per il mondo b2b. Il monito è anche volto a diversificare la strategia d’impresa, ad esempio includendo città secondarie, e localizzare in Cina, per servire in maniera più efficiente il mercato interno e garantirsi una base strategica da cui condurre operazioni nei mercati dell’Asia orientale e del Sud-est asiatico. (riproduzione riservata)