Residenti che rientrano in Cina e sono costretti non solo a due settimane di quarantena a Shanghai ma altre due nella loro destinazione finale nel paese stesso. Passeggeri di voli diretti cancellati che si trovano a dover fare 10 giorni di quarantena in altro paese europeo a loro spese dopo aver avuto tampone negativo in partenza da Italia ma positivo in transito, prima ancora di imbarcarsi per la Cina e quindi verso un'altra quarantena. "PU letter" per visti d'affari o rientro in Cina di residenti quasi impossibili da ottenere, vaccinazioni con vaccini approvati da EMA non riconosciute, e così via.
Sono solo alcune delle fatiche di Ercole che affronta chi vuole recarsi in Cina per motivi di lavoro o di famiglia, sospesi quelli per motivi di studio. Di questi problemi concreti, palpabili, che influenzano i rapporti economici tra i due paesi ben più delle dichiarazioni di questo o quel politico in cerca di visibilità o di un articolo di giornale, si parla poco, mentre sono enfatizzati i temi sulla Cina che di volta in volta vengono proposti dalla stampa americana.
La strada è tortuosa anche per i cittadini cinesi che vogliono rientrare nel loro paese, ma per gli stranieri c'è l'incognita in più dei visti d'affari che nel 2019 venivano rilasciati in una settimana.
Per chi parte dall'Italia si aggiunge l'annosa questione di un solo volo diretto a settimana, gestito da Neos, che ora è fermo per tre mesi causa chiusura aeroporto di destinazione, quello di Nanchino.
Per alcuni, in realtà, è una buona notizia: visto che la Cina da 10 mesi obbliga a prendere voli diretti per recarsi nel paese, se ve ne sono (una regola incomprensibile), l'assenza dall'Italia paradossalmente apre molte più scelte con connessioni da mezza Europa. La Germania infatti ha già ben 10 voli diretti a settimana, la Francia sei e l'Olanda altrettanti.
In tutto questo, essere vaccinati - che invece apre enormi spazi di viaggio in Europa - sembra contare meno di niente, anche se si avesse l'introvabile vaccino cinese. Non sfugge l'assurdità del mancato riconoscimento reciproco dei vaccini tra Europa e Cina come "pass" per il viaggio. Un obiettivo verso cui i governi non si capisce se stiano lavorando o meno.
Per imbarcarsi in queste trafile piene di incertezze, bisogna veramente amare la Cina o esservi costretti ad andarci per rivedere la famiglia o non perdere il lavoro. Davanti a queste difficoltà chi è già in Cina si guarda bene da uscirne, anche per andare a trovare un parente bisognoso lasciato in Italia, per il timore di essere bloccato al ritorno da qualche mutamento repentino di regole. Si tratta, ripete il governo cinese, di misure temporanee, ma sono temporanee da più o meno 18 mesi, si parlava di un'apertura nel terzo trimestre 2021, poi nell'ultimo trimestre, ora si accenna a marzo 2022.
L'Italia dal canto suo non aiuta: mantenendo la Cina in una lista dei paesi per gli arrivi dai quali è richiesta la quarantena, rende difficile anche il ritorno nel paese degli italiani o l'arrivo dei famosi "investitori" che l'Italia vorrebbe promuovere. Decisione di cui non si capisce la motivazione sanitaria, visto che a cittadini di altri paesi (tra cui gli USA) con contagi molto maggiori della Cina (e decessi) non viene applicata.
Il governo italiano, che è sicuramente al corrente di queste difficoltà, probabilmente è distratto da altro, o non considera la cosa importante. C'è poco che possa fare per cambiare le regole cinesi sulla quarantena o sui visti, che però si applicano a tutti gli stranieri senza distinzione di provenienza, ma potrebbe darsi da fare per il ripristino dei voli diretti delle compagnie cinesi sui quali si sta giocando a rimpiattino tra autorità cinesi e italiane da troppo tempo.
E potrebbe magari rivedere la regola dei 10 giorni di quarantena fiduciaria per gli arrivi da un paese in cui i contagi sono da più di un anno molto limitati e immediatamente messi sotto controllo ovunque emergano focolai. Abbiamo dimenticato che le nostre fiere riprendono da settembre e che il 2022 dovrebbe essere, addirittura, l'anno del turismo cinese in Italia? Con i biglietti dell'unico volo a 5 mila euro in classe economica è difficile prevedere grandi flussi di passeggeri.
Per i viaggi d'affari, è possibile che in cuor suo qualche membro del governo pensi che tutto sommato vada bene così, che meno italiani vanno in Cina meglio è, ma allora starebbe alle aziende italiane farsi sentire con una voce forte ed univoca sul tema, aziende che con le loro tasse finanziano la spesa pubblica e non viceversa.
Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno affrontato direttamente il tema con Xi Jinping nell'ultima videochiamata. Se vogliamo fare gli "europeisti", cerchiamo di esserlo anche in questo. E magari diamo qualche chance alle nostre aziende di competere con quelle tedesche e francesi sull'enorme mercato cinese. (riproduzione riservata)
* Marco Marazzi è avvocato, partner di Baker & McKenzie e presidente Easternational