Un' accorata denuncia del progressivo avanzamento della febbre suina in Cina, che ha colpito nelle ultime due settimane anche il Vietnam ed Hong Kong, e la mancata presenza della tradizionale delegazione ufficiale italiana hanno fatto da elementi di spicco al China International Meat Industry Business Bridge, a Shanghai, la settimana scorsa, un'occasione per fare il punto sul mercato della carne suina nella Repubblica popolare.
I temi in discussione sono stati particolarmente caldi perché sono entrate in vigore nuove aliquote che comportano per le importazioni In Cina di carne congelata di maiale il dazio del 62% e per quella fresca del 70%. Da ultimo sono stase sospese unilateralmente le importazioni dal Canada come indiretta ritorsione per le vicende Huawei.
L’incremento del prezzo della carne di maiale salita in marzo del 7,6% rispetto a un anno fa e del 6.3% rispetto al febbraio 2019 (dati del ministero dell’Agricoltura ed Affari Rurali) è stato uno dei principali fattori che ha spinto al 2,6% il consumer price index, l'indice di inflazione, in aprile, uno dei valori più alti negli ultimi anni.
Nel paniere inflattivo hanno pesato in questa ultima analisi anche i prezzi della frutta e degli ortaggi per scarsità di prodotto a causa delle solite condizioni climatiche ma soprattutto
L’allarme lanciato da Chen Wei, executive vice president della China Meat Association è stato raccolto all’unisono dagli altri speakers e si fonda su quattro pilastri. Non esistono al momento vaccini che possano debellare questa infezione; l’importazione diventa urgente, è necessario stabilire un piano con una visione per venti o addirittura tren’anni e una parte importante nel piano deve essere assolta dalla Food Safety Law. Infine, anche il controllo degli allevamenti all’estero diventa complementare alla contingente situazione cinese.
È a questo proposito che il contributo dell'Italia potrebbe essere determinante, grazie ai progressi raggiunti da alcuni operatori, tra cui la roman Twb, con basi a Hong Kong e Shanghai, nei programmi sulla tracciabilità del prodotto, la certificazione della salute degli animali e del cibo che viene loro fornito nonché il trattamento della carne sino alla vendita al dettaglio subordinato ad una alimentazione senza antibiotici e con proprieta’organolettiche e dietetiche di alta qualità.
La questione è fondamentale perché il virus della febbre suina si trasmette prevalentemente attraverso le zecche e coinvolge le condizioni ambientali dove il maiale vive; quindi le feci e le urine contribuiscono alla diffusione del virus.E’ per questa ragione che la catena della scurezza alimentare diventa presupposto per la tutela dei capi suini nonché per dare certezze ai consumatori finali.
La Twb, fondata da Giuseppe Bartolucci, una lunga esperienza alle spalle da quando ha iniziato a collaborare con i Laboratori Protector del gruppo Solvay, ha messo a punto un programma all'avanguardia per la certificazione della salute degli animali ed è l’unica ad avere un accordo esclusivo con China Meat Association a cui può offrire un contributo essenziale al tentativo di risolvere l'annoso problema del contenimento della febbre suina.
Per quanto riguarda le importazioni, una sorpresa è stata la presentazione illustrata da ArgenPork, un consorzio di cooperazione nato in Argentina, grande esportatore di carne bovina in Cina, tra i produttori di carne suina.
ArgenPork ha comunicato che in Argentina vi sono le condizioni ottimali anche per l’allevamento dei maiali non essendo il Paese soggetto, almeno allo stato attuale, al climate change, ovvero con un livello negativo nel processo di desertificazione e con una costante disponibilità di acqua. Anche lo sfruttamento del territorio rispetto alle unità allevate ha un rapporto classificato come non intensivo con ampio margine di crescita.
Un'altra sorpresa è arrivata dall'Uruguay, che ha incominciato a esportare in Cina carne bovina a partire dall’Expo di Shanghai del 2010 e oggi, nove anni dopo, è diventato il secondo esportatore nella Repubblica popolare.
Agli incontri b2b hanno preso parte i rappresentanti di cinque Paesi Europei, con il supporto di società esportatrici nazionali, tra cui il Belgio che fino a oggi non risulta esportatore di carni in Cina.