Alibaba non vuole più soltanto aprire lo sterminato mercato cinese alle imprese o in alternativa permettere l’acquisto di prodotti made in China. Trascorsi quattro anni dall’arrivo nella penisola, il colosso dell’e-commerce si propone come lo strumento per permettere al made in Italy di vendere in tutto il mondo. «Vogliamo diventare la porta d’ingresso nei 190 Paesi al mondo nei quali siamo presenti per le 200 mila aziende esportatrici, una fiera permanente attiva 365 giorni l’anno, 24 ore su 24», spiega Rodrigo Cipriani Foresio, general manager di Alibaba Group per l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia a colloquio con MF-Milano Finanza.
«Se nei primi anni nel vecchio Continente l’obiettivo è stato selezionare marchi europei, dando loro l’opportunità di connettersi agli oltre 650 milioni di utenti Alibaba attraverso i flagship store sulle piattaforme Tmall e Tmall Global (che ospitano alcune centinaia di aziende e marchi italiani tra cui le recenti aperture di Monnalisa e Smeg, e lo storico marchio di sapone L’Amande) la nuova strategia guarda ora anche al potenziamento del servizi business-to-business passando da Alibaba.com, il marketplace all’ingrosso del gruppo di Hangzhou.
«Per dare un’idea delle potenzialità, ogni giorno i buyer mondiali fanno 300mila ricerche di prodotti sulla nostra piattaforma B2B. D’altronde il mercato del B2B nel mondo è circa quattro o cinque volte più grande di quello al consumo», spiega ancora il manager. L’Italia è assieme agli Stati Uniti il Paese scelto per sperimentare lo sviluppo di questo business.
È notizia del 23 luglio l’apertura della piattaforma per consentire alle aziende statunitensi di vendere i propri prodotti ai milioni di compratori di Alibaba.com negli Stati Uniti e a livello globale. Un programma che guarda ad attrarre un ampio bacino di utenti tra le 30 milioni di piccole e medie imprese Usa, portando sul proprio marketplace il maggior numero di grossisti e produttori, per i quali il colosso dell’e-commerce ha ideato un interfaccia per costruire e gestire lo store online, strumenti di Crm e marketing digitale, servizi di pagamento e un centro di assistenza e supporto per le pmi clienti.
«In Italia stiamo costituendo un team dedicato», continua Cipriani Foresio, «Abbiamo già 500 aziende su Alibaba.com, con la collaborazione di Unicredit. Proprio per i risultati finora conseguiti l’Italia è stata selezionata assieme agli Usa. Stiamo conducendo roadshow sui territori, con l’obiettivo di arrivare ad almeno 10mila aziende sulla piattaforma nell’arco di tre o quattro anni». Tra le aziende già presenti ci sono l’ industria conserviera campana Davia o ancora l’abbigliamento del Cotton Club. «Si tratta di realtà di nicchia», aggiunge Cipriani Foresio.
I settori merceologici principali sono quelli distintivi del made in Italy, quindi agroalimentare, vino , abbigliamento e cosmetici. Trattadosi di business-to business sottolinea ancora il top manager, «su Alibaba.com troviamo anche la meccanica, in particolare, macchinari per la costruzione di impianti», ad oggi, come emerge dai dati dell’Ice, la prima voce dell’export italiano, con un peso del 17,7% del totale.
In parallelo il gruppo fondato vent’anni fa su un’intuizione di Jack Ma prosegue l’espansione europea e italiana di AliExpress, la piattaforma retail che permette di acquistare in tutto il mondo prodotti di venditori cinesi e internazionali e che ha in Russia, in Brasile e in Spagna i mercati principali. A inizio anno, direttamente dalla sede di Hangzhou, il gruppo ha annunciato di voler fare dell’Italia uno dei primi Paesi di riferimento nell’arco di cinque o dieci anni. Da poco il marketpalce si è aperto al cibo Italia. «Oggi sono su AliExpress circa una cinquantina di aziende, soprattutto del settore dell’abbigliamento. La nostra idea è passare dall’impostazione di un commercio locale verso locale e locale verso globale».
Il contesto nel quale Alibaba si muove vede però le imprese nazionali ancora indietro quando si parla di commercio elettronico. L’export digitale B2C è in crescita, nel 2018 ha toccato i 10,3 miliardi di euro (+12%), ma la percentuale è ancora di appena il 7% sul totale delle esportazioni di beni di consumo. Va meglio l’export all’ingrosso. Lo scorso anno sono stati toccati i 132 miliardi di euro di esportazioni, per una quota del 28,5% dell’export totale.
A fare da traino è stato il settore automobilistico ( 26% la quota di export digitale), con il tessile e l’abbigliamento a coprire un 14% del totale e la meccanica un altro 11%. Il canale digitale è però indispensabile, in particolare verso la Cina, destinazione verso la quale la quota di mercato italiana è ancora limitata, appena lo 0,9%. L’Italia è per la Repubblica popolare soltanto il quarto partner commerciale tra i paesi dell’Unione europea (dopo Germania, Regno Unito e Francia) e si colloca al 24esimo posto a livello mondiale. «Ci sono quindi ampi margini di miglioramento», si leggeva nella sintesi dell’ultimo rapporto Ice.
La buona volontà non basta. «Occorre andare preparati. Nella Repubblica popolare ci sono 200 città con almeno 1 milione di abitanti e l’e-commerce diventa la via per raggiungerle, soprattutto per il fashion, che si calcola conti per circa il 45% del commercio digitale mondiale», sottolinea ancora Cipriani Foresio.
Un’opportunità di conoscenza sarà offerta nel 2020 dall’anno del Turismo Italia-Cina. Non a caso proprio sull’offerta turistica si sta concentrando la diffusione di Alipay nella penisola. Il sistema di pagamento virtuale lanciato nel 2004 è disponibile in più di 20mila punti vendita. La nuova frontiera è sfruttarla nei trasporti, anche per agevolare i viaggiatori cinesi. Dello scorso novembre è la partnership con Tinaba per poter pagare sui taxi, ancora più recente l’accordo con Italo.