MENU
Azienda Manifatturiero

Hong Kong, l'anno nero del lusso durerà ancora nel 2020

Lo ha previsto Michele Norsa, partner del Fondo strategico italiano (Cdp) ed ex ceo di Valentino e Ferragamo. Intanto, però, i ricavi dei negozi in Cina mainland stanno crescendo a doppia cifra in tutte le maggiori città. In Italia, i consumatori cinesi, che si rivolgono sempre più ai brand europei, sono diventati il primo ticket in termini di valore per lo shopping


02/01/2020 16:06

di Andrea Cabrini - Class Editori

bri
Michele Norsa, ex ceo di Valentino e Ferragamo

«Il fenomeno del 2019 nell'industria del lusso è stato senza dubbio quello che è accaduto a Hong Kong. È stata una situazione inattesa e con un fortissimo impatto sulla industria del lusso». Lo ha affermato Michele Norsa, uno dei maggiori esperti in Italia dell'industria del lusso, vicepresidente di Missoni, ex ceo di Valentino e Ferragamo, membro del cda di Davidoff, Rocco Forte, Zegna e Braggiotti e partner industriale del Fondo Strategico Italiano, in una lunga intervista con Class Cnbc, il canale televisivo del gruppo Class Editori.

D. Lo sarà anche nel 2020 ?

R. Il fenomeno ha due valenze. La prima è la durata: sarà un processo lungo e ad oggi non si prevedono sviluppi politici tali da risolvere la situazione. L’altro aspetto è la gravità. L’impatto è stato violentissimo. I cali di fatturato hanno rasentato il 50%, mentre gli affitti sono rimasti invariati. L’effetto sui bilanci delle società è stato forte: sui ricavi e soprattutto sulla redditività.

 D. I negozi nella Mainland China potranno compensare le vendite perse sull’isola?

R. Dipende dall’esposizione dei brand, ma Hong Kong rappresentava per molti uno dei primi cinque mercati al mondo. Per un marchio come Burberry valeva l’8%, per il lusso in generale circa il 5% e per la gioielleria di più. Quindi immaginiamo che la crisi si sia mangiata uno o due punti di crescita nel 2019 e probabilmente anche nel 2020. Sicuramente la Cina è in forte crescita. I ricavi sono cresciuti a doppia cifra in quasi tutte le città, quindi in parte gli acquisti si sono spostati nella mainland, ma è difficile misurare quanto si possa recuperare.

 

D. Chi sono i nuovi big spender?

R. Arabi, russi, cinesi, indiani, cittadini di Singapore e poi a volte ci sono outsider che vengono da Uzbekistan, Iran, Sudamerica. La sensazione è che questa base di clienti più forti stia compensando la diminuzione del traffico. Nel retail infatti il traffico è calato dappertutto, ma con una migliore conversione (il rapporto tra chi entra in negozio e chi effettivamente acquista, ndr) e con uno scontrino in crescita quasi dappertutto. 

D. Nel 2019 i grandi sono diventati ancora più grandi. Anche con mega-operazioni, come la conquista di Tiffany da parte di Lvmh.

R. Il marchio era già grandissimo 30 anni fa, ma non ha saputo crescere con tutto il potenziale. I negozi si assomigliano ancora, c’è stata una gestione positiva ma non aggressiva. Oggi il potenziale è maggiore, è un’azienda che è stata pagata anche un prezzo corretto, perché un multiplo di 15 volte l’ebitda è fair nel settore. E completa il portafoglio di Lvmh in un modo straordinario.

D. Innescherà un domino di operazioni nei gioielli?

R. Innescherà un’ulteriore concentrazione di tutto il lusso. Guardando alla dimensione di Lvmh, che è il doppio di Kering e Richemont messe insieme, e alla capitalizzazione di Hermès, ci si rende conto che il vincitore nel lusso è la Francia.

D. In effetti Lvmh rappresenta il 18% del mercato del lusso globale e poi ci sono gli altri gruppi che citava...

R. Esatto. E Chanel non è quotata. I gruppi francesi operano anche in Italia. Gucci, con 8 miliardi di fatturato, è uno dei leader. Però alla fine gli utili si riportano nel Paese dove il gruppo è basato, il che aggiunge ulteriore forza. Al tempo stesso gli Stati Uniti, che erano partiti a inizio 2019 sulle ali dell’acquisizione di Versace, hanno sofferto su tre piani: mercato domestico in leggera difficoltà, grande crisi dei department store e mancanza di creatività. Non ci sono stilisti e prodotti americani con una qualità forte. Inoltre l’America in molti Paesi è diventata anche antipatica e ciò influisce sulle decisioni di acquisto, soprattutto nel caso dei cinesi.

D. In questo quadro qual è il futuro per le aziende italiane?

R. Le racconto un episodio. Un giorno, quasi quattro anni fa, si fece una riunione a cui parteciparono tutte le aziende italiane del lusso. C’era l’idea di creare un gruppo, un sistema di sinergie. Tutti erano d’accordo, ma non vi fu nessuno sviluppo. La grande difficoltà per le aziende italiane è essere guidate in molti casi da una famiglia o da un manager individualista ed essere molto radicate sul territorio. E in alcuni casi hanno una redditività tale che dà tranquillità e disincentiva il cambiamento. Abbiamo un numero elevato di aziende che hanno superato il miliardo di ricavi ma si sono fermate sotto gli 1,5 miliardi, come Zegna, Ferragamo, Valentino, Otb, Dolce e Gabbana. Si pensava che 1,3 miliardi consentissero una globalità «garbata». Ma abbiamo scoperto che quel livello non basta.

D. Ruffini venderà Moncler?

R. Moncler è una combinazione ideale di creatività, innovazione e management smart, intelligente e rigoroso. La dimensione dei negozi Moncler spesso è molto più piccola degli altri, le vendite al metro quadro sono altissime, si sente un dinamismo anche sulle diverse fasce di età, è un prodotto accattivante che attira. Quindi dal un punto di vista dei multipli è una delle aziende di maggior pregio.

D. Che cosa manca a Moncler per stare da sola ?

R. Oggi essere fuori da uno dei gruppi globali significa combattere sul fronte real estate: il costo degli affitti dei negozi oggi maggiore del costo del personale, è diventato uno dei valori che più impatta sul conto economico. Si sente la necessità di avere una piattaforma digitale, non solo per la vendita online, che è importante ma nel lusso non va oltre l’8-9%, ma anche per necessità di comunicazione. Moncler potrebbe sicuramente sposarsi: potrebbe non essere un’acquisizione ma un matrimonio, magari portando doti diverse. Tendo a pensare che, quando c’è fumo, un po’ di arrosto c’è.

D. Di fumo se ne vede anche altrove.

R. Si parla di Valentino come un possibile target. Ha percorso un ciclo virtuoso, oggi sicuramente è un’azienda un po’ affaticata nella creatività, anche probabilmente con un’organizzazione pesante, ma con il potenziale di raddoppiare. Anche Ferragamo potrebbe beneficiare di un’eventuale integrazione, ma ha tempo, perché i risultati, ancorché notevolmente inferiori a quelli di qualche anno fa, sono buoni. Prada e Armani sono gruppi che hanno sempre vissuto in un contesto molto personale, quindi il passaggio sarà ancora più difficile rispetto ad aziende quotate o dotate di un management. Probabilmente il problema dovranno porselo nei prossimi 5-10 anni, anche per motivi anagrafici.

D. E intanto ?

R. Intanto penso che sia il sistema Italia che non ha tempo. Si deve muovere. Forse quello che più è mancato in Italia è un personaggio che riuscisse a mettere insieme queste persone; potrebbe essere un manager che non gestisce la propria azienda ma che viene dal mondo finanziario.

D. A lei chi viene in mente ?

R. Non voglio dirlo oggi. Di sicuro ci vuole una persona che abbia un grande ascendente su questi imprenditori, che non si siedono con chiunque a parlare del proprio futuro, e che abbia anche capacità finanziarie e tecniche per immaginare modelli nuovi. Non si può pensare tout-court di mettere due, tre o quattro aziende in una pentola. Bisogna trovare modelli che potrebbero essere anche più liberi rispetto alla struttura dei gruppi.

D. Ci proverete con il Fondo Strategico Italiano ?

R. Fsi ha sicuramente l’autorevolezza e ha la missione di investire solo in aziende italiane con quote di minoranza. Quindi può essere il motore, ma per fare un’operazione che porti a un gruppo da almeno 5 miliardi potrebbe servire un ulteriore interlocutore finanziario

D. A che punto è il piano di rilancio di Missoni?

R. Missoni deve far crescere la top-line, perché è un marchio con una awareness molto elevata ma con territori in cui non è distribuito. In un anno abbiamo fatto cose molto importanti, come aprire negozi a Bangkok, Dubai, New York, Miami e Singapore. Poi abbiamo creato una linea contemporanea con Margherita Missoni, che è rientrata in azienda, è un grande talento eha un grande appeal dal punto di vista dei social. Si è lavorato sulle licenze per occhiali e orologi. Abbiamo ripreso il controllo del business della casa, che era in licenza, e abbiamo un altro progetto che annunceremo nei primi mesi del 2020. (riproduzione riservata)


Chiudi finestra
Accedi