Previsioni positive per il commercio marittimo, con un tasso di crescita media annua del 3,8% da qui al 2023 rispetto al +3,5% registrato tra il 2005 e il 2017. È quanto emerge dal sesto rapporto annuale «Italian maritime economy» presentato ieri a Napoli dall’istituto Srm (Studi e ricerche per il Mezzogiorno) in occasione del primo Euromediterranean Investment Forum, organizzato dalla Federazione banche assicurazioni e finanza (Febaf). Il Rapporto delinea i nuovi scenari economici e marittimi che impatteranno sulla competitività del sistema Italia, nonché sugli assetti delle rotte globali e sulle infrastrutture.
A dominare l’attività di movimentazione di container è ancora l’Asia, che copre quasi i due terzi del totale mondiale. Ben 240 milioni i container registrati in Cina, anche se, per effetto della guerra commerciale tra Washington e Pechino, «le esportazioni in container dalla Cina verso gli Stati Uniti sono diminuite dell’8,2% nel primo trimestre 2019», spiega il rapporto. «E per fine anno un’ulteriore escalation del fenomeno potrebbe comprimere di un ulteriore 8% i volumi transpacifici in direzione Est».
La Nuova via della seta (Belt &Road Initiative-Bri), tuttavia, secondo le stime aumenterà il pil mondiale di oltre 7 mila miliardi di dollari l’anno entro il 2040, corrispondenti a una crescita del 4,2% l’anno. L’import-export tra i Paesi toccati dalla Bri rappresenta il 13,4% degli scambi globali e il 65% di quelli Ue. Sono oltre 1.000 i progetti realizzati o in corso d’opera nell’ambito della strategia Bri, anche se va rilevato qualche ripensamento in alcuni dei Paesi riceventi.
L’Italia, per la sua posizione geografica e per la sua dotazione logistica e portuale può rivestire un ruolo di primo piano nella Belt & Road Initiative. Il Memorandum firmato a marzo è segno di interesse a istituire sinergie. Numerosi scali italiani ospitano rotte interessate da Medio ed Estremo Oriente. In particolare l’Italia vanta scali che accolgono alleanze navali strategiche per un totale di 22 servizi regolari; 7 di questi scali sono interessati dalla Ocean Alliance di cui fa parte Cosco, la compagnia di Stato cinese, uno dele maggiori al mondo.
In questo quadro il Mediterraneo gioca un ruolo prioritario per i traffici containerizzati visto che concentra il 27% dei 487 servizi di linea mondiali. Inoltre, è un’area molto significativa anche per i traffici a corto raggio, in direzione Nord-Sud in particolare in modalità Ro-Ro. Anche il Canale di Suez si conferma snodo strategico per i traffici marittimi mercantili mondiali, utilizzato dal 9-10% del commercio internazionale.
Il 2018 ha segnato un doppio record, per numero di navi (oltre 18 mila, +3,6%) e di cargo trasportati (983,4 milioni di tonnellate +8,2%). Grazie all’allargamento, nel 2018 la dimensione media delle navi che hanno attraversato il Canale è cresciuta del 12% (le navi container del 24%) rispetto al 2014 (l’anno precedente l’espansione), evidenziando che la nuova infrastruttura sta assecondando le esigenze del gigantismo, fenomeno che riguarda tutte le tipologie di naviglio.
Secondo Srm del resto, «l’era del gigantismo proseguirà anche in futuro. Nei prossimi tre anni, nel segmento 10-23 mila Teu verranno inaugurate 133 nuove navi, 45 delle quali nella fascia 18 mila-23 mila. Ancora, il rapporto rileva una forte tendenza alla concentrazione anche delle rotte: nel 1998 i primi quattro operatori detenevano il 20% del mercato mondiale, e ora il 57-58%. «E se consideriamo i primi 10 operatori, il dato passa dal 40% del 1998 a oltre l’80%», sottolinea il rapporto.
In Italia cresce la componente internazionale del trasporto marittimo. «Il valore degli scambi commerciali tricolore via mare è stato di 253,7 miliardi di euro. Il mare assorbe il 37% dell’interscambio italiano. La Cina è il primo Paese fornitore: con 22,4 miliardi di euro rappresenta il 17% di tutto l’import via mare italiano. Al contrario, primo Paese cliente per modalità marittima sono gli Stati Uniti, che con 27,7 miliardi di euro concentrano il 23% dell’export tricolore. In Italia è tuttavia ancora basso l’utilizzo dell’intermodale: su un panel di imprese intervistate, l’81% fa ricorso al mezzo gommato per raggiungere i porti.
Srm ha stimato che se l’Italia effettuasse investimenti portuali tali da aumentare capacità e attrazione del traffico dei porti italiani del 10%, l’impatto sul valore aggiunto prodotto dalla filiera marittima sarebbe di ulteriori 3,2 miliardi di euro. Tutti i dati di traffico mostrano una presenza di rilievo del Mezzogiorno nel commercio marittimo italiano, il 45% del totale nazionale. In quest’ottica secondo Srm le Zone economiche speciali (Zes) devono decollare al più presto per ispessire il tessuto produttivo e attrarre investimenti industriali.
«Il nostro Paese ha bisogno di rinnovare le infrastrutture, investire e accorciare i tempi della burocrazia», ha sottolineato Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, a margine della presentazione del rapporto. «Il traffico internazionale che è all’origine della ricchezza ha bisogno di due cose: la possibilità di accedere ai porti, che significa fondali, banchine, collegamenti. Ma anche rapidità delle operazioni doganali e di tutto ciò che è connesso con il commercio internazionale».