Sarà inaugurata ufficialmente la settimana prossima, il 13 febbraio, FREEeste, la zona franca di 300 mila metri quadrati, dei quali 75 mila coperti, attigua al Porto di Trieste, pochi chilometri all’interno, unica in Italia: è infatti una free zone industriale, destinata quindi a ospitare vere e proprie attività in punto franco, privilegio che ha soltanto il Porto di Trieste, oltre alla logistica, e allo stoccaggio.
La nuova zona franca è collegata attraverso un corridoio doganale ferroviario alle banchine del porto ed è un terminal intermodale integrato con la già esistente zone franca dell’area portuale. FREEeste è anche connesso direttamente all'autostrada Trieste-Venezia.
Al presidente dell'autorità portuale di Trieste, Zeno D'Agostino, 51 anni, presidente di Assoporti, l'associazione di categoria e, da novembre scorso, anche di Espo, l'associazione europea degli operatori portuali, Milano Finanza ha chiesto di spiegare il significato strategico di questa nuova struttura per Trieste, primo porto italiano per tonnellaggio totale, traffico ferroviario e primo scalo petrolifero del Mediterraneo.
Domanda: Che cosa significa concretamente Freeste per la competitività del porto di Trieste?
Risposta: L’Alto Adriatico è un sito d’interesse crescente per i commerci mondiali. Per questo il porto di Trieste s’impegna ad essere il più attrattivo, completamente digitalizzato.
D. Che cosa vuole dire in concreto?
R. Qui le merci viaggiano senza bisogno di alcun pezzo di carta, e c’è, con il digitale, l’integrazione completa con la ferrovia per il coordinamento delle movimentazioni.
D. Quali sono i programmi di sviluppo?
R. Prevedono 1,2 miliardi di euro di investimenti per attrezzare 200 ettari di nuove aree con l’obiettivo di creare un sito non solo portuale ma logistico-industriale completo.
D. Perché?
R. Gli investitori cercano sempre di più aree industriali attrezzate in grado di aggiungere valore alle merci che arrivano via mare, prima di indirizzarle sui mercati di consumo del centro e nord Europa.
D. Altri vantaggi?
R. La possibilità per gli investitori di interloquire con un unico referente, un unico soggetto capace di decidere, cioè il presidente dell’Autorità Portuale che autorizza i soggetti che potranno localizzarvi le loro attività in base a una norma del 2017. Naturalmente, io opero in collaborazione con gli Uffici doganali anche per la ragione che nei punti franchi di Trieste non sono richieste dalla Dogana garanzie in relazione al valore delle merci, a differenza delle zone franche comunitarie.
D. Nelle aree di zona franca, di quali soggetti e di quali settori merceologici prevede l’insediamento?
R. Armatori, gruppi industriali e società sia private che di proprietà di Stati esteri ci hanno già presentato richieste di insediamento. C’è forte competizione tra gli investitori, perché questa area di espansione portuale è dotata di Piano regolatore, e sono già state ottenute tutte le autorizzazioni.
D. Da dove vengono le richieste?
R. Da operatori cinesi ed emiratini, fuori dall’Europa, e poi da tedeschi, ungheresi, danesi e austriaci.
D. E i settori?
R. Sono arrivate domande di trasformatori di materie prime, oltre a quelle per l’assemblaggio di apparecchiature elettroniche.
D. Quale ruolo vede per il porto di Trieste, in un contesto che chiede minore consumo di energia di origine fossile e un maggior rilievo economico dell’Africa?
R. Noi siamo la porta europea per i flussi da Oriente. Per effetto della nuova Via della Seta tutti i porti dell’Adriatico registrano, in controtendenza sull’andamento globale dell’economia, un incremento del traffico di container, che si sta spostando dal nord verso il sud Europa. La crescita del continente africano riguarda maggiormente i porti del Mezzogiorno. Il peso della componente petrolio sui nostri volumi di traffico è scesa dal 75% di qualche anno fa al 68%.
D. Per quale ragione Trieste sta investendo più per attività di terraferma che marittime?
R. Il porto deve essere comunque efficiente, e noi curiamo ogni dettaglio su questo. Ma la maggiore crescita dei porti in futuro non deriverà dai traffici di persone e di merci, ma dal semplice fatto che il porto è un luogo di mare.
D. Perché ritiene che l’essere sul mare sia la vera opportunità da cogliere?
R.È bello essere sul mare. A mio parere è la bellezza la leva della crescita futura, è bello lavorare sul mare, è bello e profittevole quindi investire in nuovi insediamenti sul mare, sempre più manifattura innovativa e sempre meno chimica ed industria pesante. Le multinazionali nel mondo si stanno collocando vicino al mare non solo per i traffici, ma per la bellezza del sito. Ecco la motivazione dei 2 milioni di metri quadrati sul mare inseriti nel nostro piano di sviluppo.