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Politica

Cina, l'export raddoppia grazie agli impianti industriali per produrre all'estero

I flussi commerciali in uscita dalla Repubblica popolare hanno fatto segnare +115% in gennaio e febbraio. E in marzo e aprile sono entrate in servizio quasi un centinaio di nuove navi con una capacità di trasporto di altri 600 mila teu. La causa è solo in parte l'allungamento delle rotte per evitare il Mar Rosso: pesa la nuova politica industriale di impiantare nuove fabbriche ovunque sia possibile


06/05/2024 16:26

di Marco Leporati*

settimanale

Nonostante il (parziale) blocco del Mar Rosso, da parte degli Houthi yemeniti, l'export dalla Cina, principale produttore con una quota del 90% del fabbisogno mondiale di nuovi container, è più che raddoppiato (+115%) nei primi due mesi dell'anno. Non solo. In marzo, 41 nuove navi con capacità di trasporto di 260.000 teu (unità di misura del container da 20 piedi) di nuova produzione hanno fatto la loro comparsa sul mercato e, in aprile, altre 50 nuove navi con 330.000 teu.

Ridimensionato, quindi, il rischio di un freno al trasporto marittimo causa gli attacchi terroristici al naviglio commerciale, la crescita dell'offerta di trasporto negli ultimi due mesi sembradovuta al fatto che le diverse supply chains che conivolgono produzione e logistica hanno disegnato necessità diverse e quindi l’offerta di vuoti addizionali punta a soddisfare nuove esigenze commerciali solo in parte create dalla diversificazione delle rotte.

È un trend destinato a durare? L’arte del vaticinio è sempre più difficile: si era previsto che la sovracapacità avrebbe comportato problemi di assorbimento nell’anno in corso; è successo il contrario in questi primi mesi. La controversa situazione del Mar Rosso, estesa successivamente anche al largo del corno d’Africa, ha modellato le rotte navale in modo diverso obbligandole alla circumnavigazione del Capo di Buona Speranza. L'effetto è che da un lato ha incrementato domanda e offerta dall’altro ha impattato sui tempi di percorrenza e sui costi dei noli.

Una situazione analoga era accaduta nel febbraio 2022 quando lo scoppio del conflitto russo-ucraino aveva di fatto limitato le vie di trasporto (quello aereo con il divieto di sorvolo dello spazio aereo russo così come il trasporto ferroviario) tanto da richiedere la produzione di 300.000 container al mese.

Questo adattamento commerciale in un contesto geopolitico così complesso la cui durata è stimata per tutto questo anno sta beneficiando parzialmente le compagnie marittime. I risultati del primo trimestre della Maersk, la maggiore shipping company mondiale, mostrano un calo dei ricavi del 13 % rispetto all’anno scorso e un utile di soli 177 milioni di dollari rispetto ai 2,3 miliardi di dollari del corrispondente trimestre del 2023, causa un incremento del costo del carburante del 40% causato da maggior consumo, visto l'allungamento delle rotte. Ciononostante «le previsioni per i prossimi mesi dei volumi di traffico appaiono in salute e anche la fiducia è ricomparsa nonostante le persistenti tensioni geopolitiche», ha scritto Maersk Broker sul suo bollettino.

L’incremento del commercio di commodities è il volano attuale che permette queste performance, ma non solo. «La Cina vuole produrre all’estero così da ridurre il surplus commerciale e cosa molto importante, la sovraproduzione», ha spiegato Alicia Garcia Herrero, chief Asia Pacific economist di Natixis. «Mi aspetto che questo ritmo continui in modo aggressivo anche se dovrà scontrarsi con il protezionismo dei singoli Stati».

Le società cinesi hanno investito nel primo trimestre di quest'anno 33,5 miliardi di dollari in FDI (investimenti diretti all’estero). È il dato più significativo dal 2016 e rappresenta il 13% in più rispetto al 2023. L’esempio potrebbe ricalcare l’esperienza giapponese  degli anni ottanta ma allora non esisteva una situazione così tesa con gli Stati Uniti.

Gli investimenti cinesi all’estero si muovono su tre direttrici: la prima è verso gli Stati Uniti con due aziende leader nella produzione di pannelli solari, Longi Green Energy Technology e Trina Solar, due soli esempi importanti con investimenti di unità produttive rispondenti alle politiche del governo americano per la transizione alla green energy.

La seconda è l'area Asean e, in particolare, il sud est dove gli investimenti manufatturieri sono quadruplicati rispetto all’anno precedente, in particolare in Tailandia e Indonesia con Chery e BYD per le auto elettriche, e CATL per le batterie al litio.

La terza direttrice è l'Europa con un possibile investimento di Chery in Spagna dove ha rilevato la vecchia fabbrica della Nissan, l’Italia con Dongfeng in fase esplorativa e soprattutto in Ungheria che dovrebbe diventare l’hub delle attività cinesi in Europa. Non a caso l’Ungheria è una delle tre tappe del tour europeo del Presidente XI Jingping, attualmente in corso. Nella logica cinese di sviluppo industriale all’estero ha sempre vinto il concetto di produrre tutto quanto fosse necessario in Cina e trasportarlo sul luogo destinato all’investimento.

Pertanto rimane implicito che l’incremento dei trasporti sia dovuto da parte cinese ai fabbisogni maturati nei luoghi prescelti. È stato così nei progetti della BRI e lo sarà in un futuro sulle direttrice tracciate. (riproduzione riservata)

*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da 30 anni


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