Sembra lontano il tempo dello slogan “To see and to buy now” ovvero vedere e comprare subito, un’invenzione del mondo fashion per un just in time dell’acquisto.
Esistevano le stagioni dette anche campagne autunno/inverno, primavera/estate ma con il fast fashion si è iniziato ad accelerare in modo nevrotico le collezioni ogni quindicina con stilisti che accettavano questa sfida e così pure, in termini diversi, il segmento medio alto ne è stato contagiato con l’immediatezza dell’acquisto e la repentinità del cambiamento.
Oggi invece, a parte le mancate vendite in Cina dovute alle chiusure degli shopping mall, vi sono anche problemi relativi alla produzione che comprometteranno la campagna primavera/estate che doveva temporalmente iniziare a marzo con le collezioni presenti sugli scaffali.
Possiamo quindi parlare di cambiamento di tendenza che parte dalle aziende produttrici cui i consumatori si dovranno adeguare?
Nel linguaggio della consulenza aziendale si usa il termine “lesson and learn” ovvero la capacità di analizzare una situazione che possiamo definire di risk management ed imparare a gestirla in futuro con le soluzioni adottate in precedenza.
Quando terminerà questo drammatico e delicato momento varrà la pena forse di riflettere anche sui modelli di consumo che ci hanno prosciugato intellettualmente e che oggi dimostrano la propria fragilità.
Non bisogna certo ritornare al mito roussoniano del ”buon selvaggio” ma certamente deve essere trovato un equilibrio tra consumatore ed establishment produttivo.
Infatti, se la produzione di abbigliamento che vede il suo nucleo centrale in Cina nelle aree del Pearl River Delta e Yantgze River Delta, con eccezione per il settore casual e sportwar nell’area circoscritta a Xiamen nella provincia del Fujan, non dobbiamo dimenticare che tutta la produzione di tessuto stampato avviene ancora in Cina.
Il trasferimento delle produzioni di qualche anno fa in Cambogia, Bangladesh e Myanmar ha trovato ragioni solo per una miglior economicità del costo del lavoro. Oggi questi Paesi soffrono in quanto non hanno la materia prima per confezionare le collezioni. Myanmar dipende per l’80% dalla Cina e oggi le fabbriche sono chiuse come lo sono in parte in Cambogia e in Bangladesh.
In Cina, con disposizioni recenti, i produttori possono far valere la certificazione della “force majeure” che permette loro di non incorrere in penali ancorchè abbiano ricevuto l’anticipo dal cliente ma nelle aeree delocalizzate del sud est asiatico questo non è previsto.
È ancora ottimista Matt Priest, ceo e presidente della Footwear Distributors and Retailers: “I consumatori occidentali non sono propensi al ritardo della collezione primavera/estate” ma subito dopo sostiene che “una soluzione potrebbe essere quella di rimettere sugli scaffali stocks di collezioni precedenti”.
Questo orientamento potrebbe far pensare a una univocità di comportamento del consumatore nei mercati occidentali a dispetto della Cina che, quale luogo di origine del Covid-19, ne ha subito e ne sta subendo le conseguenze anche se vi è la volonta correlata alla necessità di riprendere le attività produttive e tanto più gli acquisti off line e on line.
Ma se osserviamo l’infodata delle curve algoritmiche dell’acuirsi dei contagiati nel mondo, possiamo notare come la situazione in Cina sia in via di stabilizzazione, a prescidere da eventuali colpi di coda del virus ma l’ascesa negli altri Paese ha una velocità superiore di sviluppo rispetto al tempo impiegato nella stessa Cina nello scorso mese di febbraio con il raggiungimento del tanto atteso picco.
Questo scavallamento ormai certo provocherà un doppio impatto sul consumer sentiment: da un lato i provvedimenti governativi che obbligano a esercitare attività commerciali parziali o in chiusura totale; dall’altro uno dei dati incontrovertibili è la fermata totale del turismo e dei viaggi, fonte prevalente degli acquisti all’estero.
La domanda successiva è se anche la produzione dovesse riprendere in questi Paesi sopramenzionati quale sarà il trend di vendite considerando che la zona più ricca d’Italia sarà ferma sino al due di aprile? Ritengo che a seguire, altri Paesi europei come la Francia e la Germania dovranno adottare provvedimenti similari all’Italia.
In questo dinamico scenario la virologa Ilaria Capua definisce il Covid-19 uno “sciame virale che è diventato pandemico nel giro di qualche mese“: un’analogia calzante allo sciame sismico composto da migliaia di impercettibili movimenti tellurici.
E ancora: “Covid è figlio del traffico aereo ma non solo:le megalopoli che invadono territori e devastano ecosistemi creando situazioni di grande disequilibrio nel rapporto uomo-animale”.
Gli stessi concetti espressi da Ilaria Capua trovano fondamento in un testo pubblicato all’inizio del nuovo millenio da Jared Diamond dal titolo “ Armi, acciaio e malattie” che ci svela i misteri dell’Antropocene dedicando un capitolo alle epidemie:”Le malattie che ci fanno visita sotto forma di epidemie hanno molte caratteristiche comuni. Per prima cosa, si trasmettono con velocità ed efficienza da un individuo malato ad uno sano, con il risultato che l’intera popolazione viene a contatto con i germi in tempo breve.
Le grandi malattie epidemiche si sono potute originare solo con l’arrivo delle società numerose e densamente popolate, società che iniziarono a formarsi 10.000 anni fa con la nascita dell’agricoltura e che subirono un’accelerazione con la nascita delle città qualche migliaio di anni dopo”. ( pag. 155-157)
L'argomento è utile a ribadire che in questo momento la ripresa dell’economia deve andare di pari passo con la soluzione sanitaria almeno per uscire dal tunnel fatti salvo i ripensamenti sugli stili di vita e sui modelli produttivi. (riproduzione riservata)
* managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni