La riduzione e la mancanza delle forniture di energia elettrica ha creato in Cina non pochi problemi dalla metà di settembre sia per le aree industriali, sia, soprattutto nel nord est, per le famiglie e le città. Ma sono le modalità con cui ciò avviene a rendere la situazione ancora più critica.
Il preavviso non esiste ed ogni mattina le fabbriche, anche in province non distanti da Shanghai, ricevono o una telefona o un messaggio sullo smartphone del programma giornaliero di forniture che può variare da alcune ore o addirittura, per le fabbriche su turni, per tutto il giorno regolando solo per quello notturno.
A questo punto per le aziende non esiste solo il problema del costo energetico, che potrebbe oscillare in maniera imprevedibile dopo la recente liberalizzazione del prezzo finale, ma è soprattutto il costo del personale inattivo che penalizza l’azienda. In alcune situazioni le aziende vorrebbero usare la motivazione della “force majeure“ ma solo in casi sporadici i tribunali potrebbero dar loro ragione.
Secondo il principio di causa ed effetto il problema del fabbisogno energetico nasce da lontano, almeno dal 1 gennaio 2020, ma la tempesta perfetta di queste ultime settimane è stata determinata da diverse circostanze accumulatesi nell'ultimo periodo.
Nel dicembre 2019, data antecedente allo scoppio ufficiale della pandemia, la NDRC (National Development and Reform Commission) aveva deciso la possibile oscillazione del prezzo di vendita, ma non aveva formalizzato ufficialmente la revisione del prezzo, lasciando ai singoli governi provinciali la possibilità di procedere o meno agli aumenti.
Nel frattempo, si manifestava il Covid e nell’estate 2020 si rompevano le relazioni commerciali con l’Australia, il maggior fornitore di carbone della Cina. Il resto è storia nota: crescita globale della domanda di beni, incremento dei costi di trasporto e delle materie prime, compreso quelle industriali con difficoltà conseguente di approvvigionamento nella supply chain.
Nella vicenda è poi entrata a gamba tesa la variabile climate change. Nello Shanxi, la provincia maggiore produttrice di carbone, si è ripetuto quello che era successo a Zhengzhou, capoluogo della provincia dello Henan, importante centro industriale che ospita, tra l'altro, uno dei poli produttivi di Foxconn per Apple, nonché hub di trasporto aereo e ferroviario, dove si era creata una situazione alluvionale abnorme ed anomala in un'area normalmente non sottoposta a così elevati livelli di precipitazioni.
Anche la provincia dello Shanxi è stata alluvionata per quasi un mese e, nonostante le richieste del governo centrale di riaprire alcune miniere, con le piogge torrenziali e i conseguenti allagamenti, l’estrazione del carbone e specialmente il suo trasporto è diventato molto difficoltoso.
Queste due province, Henan e Shanxi, storicamente sono siccitose e proprio per questa ragione l’estrazione del carbone ne viene facilitata. Questa volta, nella rivoluzione climatica, è avvenuto l’inimmaginabile tant’è che molti siti storico-archeologici, ben 1763, sono stati sommersi dalle acque e parzialmente distrutti nella città di Pingyao, gioiellino architettonico della storia cinese.
Gli appelli del Governo centrale hanno fatto sì che nei primi 13 giorni di ottobre la produzione giornaliera di carbone sia cresciuta del 4.5% rispetto alla media giornaliera di settembre, secondo i dati forniti dalla China Coal Transportation and Distribution. Pechino ha anche ordinato a 70 miniere dell'Inner Mongolia di raggiungere l’obiettivo di estrazione di 100 milioni di tonnellate.
Un altro contributo di carbone è arrivato dalla Russia attraverso lo snodo ferroviario di Suifenhe nella provincia estrema dello Heilongjiang. Qui si stanno potenziando le linee ferroviarie e le banchine per ricevere maggiori carichi dalla Russia, triplicando i quantitativi che erano stati diminuiti, come conferma l’agenzia TASS, per mancanza di vagoni e per le misure restrittive adottate per far fronte alla pandemia.
La formula cinese del Dual control policy richiede che le Province limitino l’uso dell’energia o lo riducano essendo definito l’importo dell’energia usata per unità di pil.
In Cina l’energia dipende ancora per il 62% dall’uso del carbone e quindi occorre prendere atto che senza carbone in Cina non vi è energia, dato di fatto a cui si aggiungono gli altri fattori negativi che hanno portato un rallentamento della crescita del pil in settembre (+4,5%), con una previsione di ulteriore discesa al 3,5% per ottobre.
A questo riguardo si sta ventilando una possibile stagflazione e qualcuno corre la memoria a quella degli Stati Uniti avvenuta negli anni 70 quando il prezzo delle commodities erano sfrecciate e di contro l’allora supply chain rallentava, tassi d’interesse instabili e tendenti verso l’alto con la recessione come atto finale.
In un contesto dove le leggi economiche sembrano superate e le varianti quotidiane dovrebbero essere fonti di opportunità potrebbe accadere che invece la ruota del destino si rivolga contro. ”La sensazione che si va diffondendo è quella che stia venendo meno ogni certezza: di qui , come direbbero i durkheimiani, senso di anomia, tramonto di ogni regola, e profonda insicurezza". Ralf Daherendorf, Quadrare il cerchio, pag 44. (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni