«Per noi partecipare al Business Forum Cina-Italia è stata un'esperienza assolutamente positiva. In particolare, ci ha fatto piacere sentire la voce nazionale discutere in maniera coesa dei futuri sviluppi dei rapporti commerciali per la moda e gli altri settori. È un nuovo punto di partenza molto più solido per il futuro». Alfonso Dolce, amministratore delegato di Dolce & Gabbana, parte dal bilancio degli incontri di Pechino, per analizzare con ClassCNBC il futuro della moda in Cina e le sfide dei prossimi mesi.
Domanda. Alfonso Dolce, partiamo dalla Cina.
Risposta. La Cina è un mercato decisamente importante, ma sempre più maturo. Nel rapporto con la moda dimostra una maggiore consapevolezza. Significa che il consumatore è passato dall’acquisto emozionale al desiderio di fare esperienze molto più autentiche e di maggiore qualità.
D. La debolezza nella domanda è solo una frenata temporanea o il segnale che per la moda in Cina è iniziata una nuova fase?
R. Sicuramente c'è ancora uno spazio importante per i marchi italiani, ma non vedremo più le percentuali di crescita degli ultimi cinque-dieci anni. È impossibile perché i consumi hanno già raggiunto percentuali molto significative. Ciò non significa che per alcuni settori e per alcune aziende non ci possano essere ancora grandi opportunità di crescita. Sicuramente però bisognerà lavorare con un'attenzione ancora maggiore e con investimenti qualificati sia in comunicazione sia per elevare il livello di servizio al cliente. Il consumatore cinese oggi cerca qualità e compra cercando beni durevoli. Anche quando si parla di moda.
D. Quindi dove puntare?
R. La Cina è un mercato enorme. Oltre alle città principali, come Shanghai, Pechino e Shenzhen, ce ne sono almeno altre 20 che possono esprimere nuovi potenziali di crescita. Quindi la Cina ci può ancora dare tanto.
D. Servirà un approccio nuovo. Qual è il vostro?
R. Per Dolce & Gabbana la Cina è un Paese decisamente significativo e molto vicino ai codici del marchio. Parlo di colori, ma soprattutto di valori comuni, come la famiglia, l’autenticità e il piacere di stare insieme. Vogliamo lavorare ancora di più sul rispetto della esperienza locale e avvicinarci alle nuove generazioni. I giovani oggi sono molto più desiderosi di conoscere quello che accade fuori dalla Cina. Il nostro marchio può portare quell’esperienza di internazionalità, sempre nel rispetto della cultura locale. Sin dall’inizio abbiamo lavorato molto sul cliente fedele, che ci ha conosciuto negli ultimi vent'anni. Adesso abbiamo un nuovo piano di sviluppo che parte dal consumatore giovane. Lo stiamo approcciando attraverso una nuova categoria, quella del beauty. La bellezza vuol dire fragranza ma anche make-up e skincare. Da un mese abbiamo aperto un nuovo exhibition center nel cuore di Shanghai, che unisce i codici di Dolce & Gabbana all'heritage della città vecchia. Vogliamo sperimentare per costruire la nuova relazione tra marchio e cliente su un progetto culturale.
D. I cinesi emigrati hanno costruito anche forti comunità in tanti Paesi. Che cosa ha osservato nelle sue ultime visite?
R. Sono appena rientrato da un viaggio negli Usa e in Canada che mi ha portato anche a Vancouver, Honolulu e Los Angeles. Sono città dove le comunità cinesi rappresentano quasi una nuova nazione nel Paese di residenza. Quello che ho visto mi porta a dire che oggi il cliente internazionale non è quello che viaggia ma quello che diventa residente di un nuovo Paese, dove trova una nuova alchimia che gli permette di vivere una seconda vita. Questo obbliga noi aziende a studiare molto di più i flussi migratori e a far sì che le comunità che vivono nel Paese originale abbiano un rispetto inclusivo di più popolazioni e di più caratteristiche etniche, a partire, nel nostro caso specifico, dall'analisi della vestibilità, dalla taglia, del tipo di alimentazione o alla cultura nel vivere la casa. Per noi non è marketing ma una responsabilità etica.
D. Intanto dalle semestrali della moda emergono segnali d’allarme. Lei che cosa si aspetta nei prossimi mesi?
R. Il primo aspetto che pesa è quello della crisi internazionale, che, secondo me, è una crisi etica e sociale prima ancora che economica. Il secondo semestre non sarà facile dal punto di vista dei fatturati per le aziende della moda. Ciò non vuol dire che non ci siano spazi di crescita. Nei Paesi maturi il fatturato e le nuove opportunità commerciali vanno cercate a macchia di leopardo. Ad esempio, come dicevo prima, studiando i flussi migratori emergenti, che creano nuove economie. Ma poi penso che non parliamo abbastanza di grandi Paesi emergenti che possono cambiare i conti di un'azienda compensando le difficoltà delle aree più esposte alla crisi. Paesi assolutamente vergini, dove si deve andare in avanscoperta.
D. Ci faccia un esempio.
R. Ne nomino due che ho visitato un mese fa. Il primo è l’Argentina, paese considerato a rischio per inflazione ed economia fragile. Io, invece, ritengo che in futuro potrà essere un nuovo mercato significativo. È un Paese ricco di materie prime e di storia. Quindi perché un cliente che vive a Buenos Aires deve andare a Miami o a New York a fare un acquisto? Noi imprese dobbiamo prenderci magari un rischio maggiore per raggiungere un cliente che potrebbe diventare significativo. L’altro è il Perù. Ma poi nel mondo latino c’è anche la Repubblica Dominicana. E in Asia oltre a Giappone, Corea e Cina c'è anche il Sud-Est con Vietnam, Cambogia, Thailandia e Malesia. È tempo di fare una nuova ricerca di mercati dove il marchio può avere una identità univoca e creare una nuova loyalty. Sicuramente serviranno tanti investimenti. (riproduzione riservata)