Che cosa hanno in comune due icone come Vasco Rossi e Lady Gaga? Sono entrambi sotto contratto con Universal Music Group, la più grande etichetta discografica al mondo. La major è controllata al 100% da Vivendi, azionista fra l’altro di Tim (23,9%) e Mediaset (28,8%). Due settimane fa però il gruppo francese ha rivelato l’intenzione di aprire il capitale a uno o più investitori. La cessione, si legge nell’ultimo bilancio, potrebbe riguardare fino al 50% delle azioni e potrebbe concludersi già nel 2019. Nei prossimi giorni Vivendi annuncerà le banche incaricate di trovare il partner ideale.
Secondo indiscrezioni, tuttavia, al gruppo presieduto da Vincent Bolloré sarebbero già arrivate due offerte concorrenti. La prima da parte del colosso cinese Tencent che opera nel settore attraverso la controllata Tencent Music (quotata a dicembre a Wall Street con’ipo da 1,1 miliardi di dollari). La seconda dal fondo di private equity americano Kkr (che di recente ha acquisito Magneti Marelli da Fca per 6,2 miliardi). Per la major francese si profilerebbe così una sfida Usa-Cina per un’operazione che potrebbe valere fino a 20 miliardi di euro.
Il processo di vendita tuttavia è in fase preliminare, sicché non è da escludere la presentazione di ulteriori proposte. Universal del resto è stata definita da JpMorgan «un asset unico, sottovalutato, non replicabile, un must-have strategico per i giganti tech». Gli analisti della banca americana hanno perciò valutato la casa discografica 44 miliardi di euro. Più prudenti le stime di Bnp Paribas (25), Goldman Sachs (35) e Deutsche Bank (29 miliardi). Da parte sua, nel 2017 Vivendi, per bocca del presidente Arnaud de Puyfontaine, ha assegnato alla major un valore superiore ai 40 miliardi che nel frattempo potrebbe essere lievitato.
Univesal ha chiuso il 2018 con un giro d’affari in salita del 10% a 6 miliardi e un ebitda in crescita del 22% a 902 milioni. Merito soprattutto dell’aumento dei ricavi legati allo streaming (+37%), frutto delle commissioni pagate a Universal da piattaforme digitali come Spotify. La metà di questa torta, insomma, pare un boccone appetibile. Per i potenziali investitori, però, potrebbe non essere facile trovare un accordo sul prezzo e soprattutto sulla governance, con Bolloré che avrebbe già chiarito di voler rimanere al timone di Universal.
Se la cessione dovesse andare in porto con una valutazione intorno ai 40 miliardi, Vivendi ne ricaverebbe circa 20. Denaro che potrebbe servire per compensare gli investimenti sinora poco fortunati in Italia o per rafforzare la posizione del gruppo in società già partecipate. In questo senso l’ipotesi più suggestiva porta a Spotify (23 miliardi di euro di capitalizzazione). Universal controlla già il 4% della piattaforma di streaming, un investimento che i manager di Vivendi hanno più volte definito strategico e incedibile. (riproduzione riservata)