MENU
Azienda Servizi

Cosco, viabilità e burocrazia mettono in crisi il Porto di Genova

Marco Donati, rappresentante in Italia del colosso cinese dello shipping, uno dei primi operatori del porto ligure, punta il dito sull'inefficienza dello scalo, a causa della carenze della rete infrastrutturale, della burocrazia e della normativa. La società, che ha aperto quest'anno un nuovo scalo terminal a Vado, sta spostando il traffico verso altri porti italiani, tra cui Venezia


14/07/2020 09:09

di Manuel Follis - Class Editori

Cosco
Marco Donati, direttore generale di Cosco Italia.

Sul porto di Genova si è abbattuta la classica tempesta perfetta. In un quadro caratterizzato da un sistema burocratico tra i più penalizzanti d’Europa e da collegamenti con il trasporto ferroviario fermi a prima della guerra, si è aggiunto anche il corto circuito del sistema autostradale. Con il risultato che le grandi compagnie di trasporto merci hanno dovuto gestire una situazione mai vista in precedenza.

Chi per primo ha lanciato l’allarme è stato Cosco, il colosso cinese che grazie a oltre 1.300 navi e a una capacità superiore a 107 milioni di dwt (tonnellaggio di portata lorda) è il primo armatore al mondo. «Si è trattato della classica goccia che fa traboccare il vaso. Il paradosso è che da quando ci siamo lamentati la situazione è persino peggiorata», commenta con MF-Milano Finanza Marco Donati, direttore generale di Cosco Italia. «Pochi giorni fa hanno chiuso l’entrata del casello principale di Genova a causa di lavori d’ispezione a una galleria», prosegue. «Si erano impegnati a terminare entro le 6 di mattina invece hanno finito alle 10. Quattro ore di ritardo fondamentali per il porto».

«Si è arrivati al punto che il prefetto di Genova ha ordinato al porto di non far più uscire i camion, decine di mezzi». Un caos che sta impattando su merci, indotto e valore generato per il territorio. Uno degli aspetti che Donati sottolinea più volte nel corso della conversazione è quanto venga snobbato il settore della logistica in Italia, dalla politica fino ai media. Oggi Cosco Shipping Italy registra un fatturato di 75 milioni, ma genera un indotto di circa 500 milioni per il Paese. Nel 2019 la società ha movimentato nei porti italiani 1,25 milioni di tonnellate di merce oltre a 500 mila teu (unità di misuta dei container da 20 piedi) di merce in container .

Le navi della flotta Cosco hanno toccato almeno una volta 21 porti italiani dove hanno fatto 421 scali. Calcolando che ogni volta che un natante entra in un porto paga 30-70 mila euro tra spese per servizi e tasse, ci sono oltre 20 milioni all’anno generati dal gruppo solo entrando nei porti. «Noi non vogliamo andare via da Genova, ma oggettivamente lavorare qui è sempre più difficile», commenta Donati. Danni per l’economia? «Sono difficili da valutare. Al momento abbiamo spiegato ad alcuni nostri clienti che possiamo servirli in maniera ottimale anche da La Spezia o da Venezia. In fondo se spostiamo un container da Genova a un’altra città ci perde Genova, ma il valore resta in Italia. Il fatto è che la concorrenza è agguerrita e rischiamo di perdere navi e merci che si indirizzeranno altrove».

Il punto cruciale per il manager di Cosco è questo: porti come Rotterdam, Anversa o Amburgo, che possono sfruttare collegamenti ferroviari efficienti e soprattutto molta meno burocrazia, attirano navi che potrebbero venire in Italia. «Non siamo contro i controlli, ma le pratiche doganali per le merci in Italia implicano una trafila spesso inefficiente. In Olanda invece non verificano i contenitori. In sostanza, oltre a quello fiscale già noto, gli olandesi fanno dumping burocratico nei confronti dell’Italia e questo non lo dice quasi nessuno». L’impatto è notevole. Una verifica su un container (che se proviene dalla Cina vale circa 1.000 euro) può costare fino a 600 euro, in Olanda zero.

Così, man mano che il discorso va avanti, si torna alla tempesta perfetta e alle occasioni sprecate. A causa del sistema autostradale in tilt e dei litigi in corso tra sindaco di Genova, governatore della Liguria, società Autostrade per l’Italia e Ministero dei Trasporti, i problemi legati alla mancanza di connessioni ferroviarie vengono a galla in maniera lampante. Il porto di Genova non dispone ancora di binari elettrificati. Questo vuol dire che per spedire merci via ferrovia c’è una società (con apposita concessione) che traina a gasolio una carrozza dal porto fino alla stazione, qui il vagone viene attaccato ai treni elettrificati di Fs e si immette nel circuito. Uno scherzetto che fa sì che un colosso come Cosco (e molti altri) spedisca il 90% delle merci via camion, perché costa meno in termini economici e di tempo. «L’aspetto più triste è che sono gli stessi identici problemi che mi raccontava mio padre quando ero piccolo», commenta sconfortato Donati.

«Sono problemi che tutti conoscono da almeno 30 anni e che dovrebbero essere in cima alle priorità per l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale», ossia l’organismo deputato a stabilire la strategia di sviluppo dei porti di Genova e Savona. Cosco ha uffici a Genova (dove c’è la sede centrale) ma anche a Milano e Napoli e dà lavoro a circa 200 dipendenti. «Insieme ai fratelli Cosulich siamo l’armatore più grande al mondo», spiega Donati.

«Siamo presenti in tutti i grandi porti italiani, fatta eccezione per Civitavecchia e per quelli della Sardegna, dove comunque prima o poi in prospettiva potremmo arrivare. L’Italia per noi rappresenta il secondo mercato europeo più importante dopo la Germania, quindi vogliamo investire. Vorremmo assumere persone e arrivare a trasportare un milione di teus, ma il sistema ci deve aiutare, dal governo alle autorità portuali. Da soli non possiamo fare di più». Un grido d’allarme, un appello, finora lasciato cadere nel vuoto. Per la felicità dei competitor tedeschi e olandesi. (riproduzione riservata)


Chiudi finestra
Accedi