Un Occidente impegnato a riportare sotto controllo l'inflazione e una Cina che, al contrario, teme la deflazione. A confermare che l'uscita dalla pandemia per l'economia del Dragone è più difficile che altrove, ieri sono stati i dati sui prezzi alla produzione di giugno che hanno segnato una contrazione annua (-5,4%), peggiore di quella di maggio (-4,6%) o di quella attesa dagli esperti (-5%). Quella di giugno, in base ai dati dell'Ufficio nazionale di statistica, si classifica come la nona frenata mensile di fila oltre che la più ampia da dicembre 2015. I nuovi segnali di deflazione e di incertezza sull'economia cinese includono anche i prezzi al consumo di giugno, invariati su base annua (ritmo più lento da febbraio 2021), contro il +0,2% di maggio e il +0,2% stimato alla vigilia.
A spegnere l'entusiasmo sulla ripresa economica post-Covid19 della seconda economia globale sono state la debole produzione industriale, la stagnante fiducia dei consumatori e le crescenti difficoltà dell'export, insieme anche all'indebolimento della domanda. Le letture dell'inflazione più deboli del previsto hanno aggiunto nuove pressioni sul governo centrale per il varo di misure di sostegno più robuste, soprattutto per rilanciare i consumi. Giovedì scorso, il premier cinese Li Qiang ha convocato un simposio sulla situazione economica, volto a sollecitare il parere di diversi economisti. In quella sede Li ha promesso l'introduzione di misure politiche mirate e coordinate, che saranno attuate in modo tempestivo per stabilizzare la crescita, garantire l'occupazione e proteggersi dai rischi.
Già a metà giugno, il Consiglio di Stato cinese si era impegnato a implementare «misure più energiche» in modo tempestivo per migliorare lo slancio dello sviluppo economico, ottimizzare la struttura economica e promuovere una ripresa sostenuta. Tuttavia, l'industria delle auto elettriche – che comprende veicoli, stazioni di ricarica delle batterie e reti elettriche – è l'unica area in cui il governo centrale cinese ha annunciato finora le misure di stimolo più specifiche, principalmente sotto forma di estensione delle agevolazioni fiscali.
La ripresa economica più lenta del previsto della Cina è una preoccupazione crescente anche per gli investitori e le imprese, che oltre al rischio di deflazione guardano al debito dei governi locali del Paese. L'inflazione complessiva, secondo gli analisti, dovrebbe salire a circa l'1% entro la fine del 2023, non limitando la capacità della Banca centrale cinese (PboC) di allentare ulteriormente la politica monetaria. Il mese scorso la Cina ha tagliato i tassi per aumentare la liquidità e ha promesso di adottare misure mirate a promuovere i consumi delle famiglie, rispetto a un obiettivo per l'inflazione media al consumo stimato da Pechino a marzo di circa il 3% per l'intero 2023. Secondo l'ex ministro delle finanze, Lou Jiwei, l'opzione corretta sarebbe quella di aumentare il deficit fiscale della Cina tra 1.500 miliardi di yuan e 2.000 miliardi di yuan. ll deficit ufficiale del Paese per il 2023 è ancorato a circa il 3% del prodotto interno lordo e un aumento compreso della portata suggerita da Jiwei porterebbe il rapporto a circa il 4,16-4,55%. (riproduzione riservata)