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Covid-19, il governo studia un decreto per aiutare le aziende

Il Mise lavora a un decreto Crescita Bis. Ice in campo per riorientare l’export verso mercati maturi. Per Capozzoli (Jesa Capital) l’agroalimentare è un settore a forte rischio. Appare complicata la strada degli sgravi fiscali per le imprese. Intanto l'Oorganizzazione mondiale della sanità da un nome ufficiale all'epidemia scoppiata in Cina, Covid-19


12/02/2020 10:59

di Anna Messia e Andrea Pira - Class Editori

Misure per la crisi
Palazzo Chigi, sede del governo

Risorse per riorientare l’export verso i mercati meno toccati dal coronavirus: prende forma la strategia del governo per contenere le ripercussioni dell’epidemia nata in Cina sulle imprese italiane. Più difficile che si possa invece intervenire con agevolazioni e sgravi fiscali sul modello di quanto viene fatto per le aree colpite da disastri naturali. O, almeno, questo è quanto filtra dai corridoi dell’esecutivo, mentre non si esclude che un decreto ad hoc possa approdare già nel prossimo Consiglio dei ministri atteso per domani.

In ballo c’è anche un decreto Crescita Bis, allo studio del ministero dello Sviluppo Economico, capace di affiancare il piano di transizione 4.0 e che pone la semplificazione degli incentivi alle imprese come uno dei pilastri. Allo Sviluppo economico si pensa anche a interventi a sostegno del reshoring delle imprese che hanno delocalizzato.

Mise e ministero dell’Economia stanno facendo valutazioni. C’è ancora però poco di concreto quando sono trascorse 24 ore dall’avvio della ricognizione delle possibili misure da mettere in campo con una riunione a Palazzo Chigi ha partecipato anche il titolare del Tesoro, Roberto Gualtieri, a evidenziare i risvolti economici di una crisi che non è soltanto sanitaria.

Calibrare gli interventi, d’altronde non è facile, considerate che gli impatti sull’economia globale oscillato a seconda della fonti dallo 0,2% allo 0,7%. In Cina invece l’Accademia delle scienze sociali, il principale think tank governativo, ha calcolato che nel primo trimestre il ritmo di crescita della seconda economia al mondo potrà scendere sotto la soglia psicologica del 5% a causa del Covid-19, com’è stato rinominato ieri dall’Organizzazione mondiale per la sanità.

Termometro delle difficoltà è il rischio di un crollo del 30% delle vendite di smartphone nella Repubblica popolare, se l’epidemia dovesse durare fino a giugno. Segnali poco incoraggianti, secondo le stime della società di ricerca TrendForce arrivano anche dalla produzione di telefonini attesa in flessione del 12% nel primo trimestre del 2020.

Al momento nel governo il piano più concreto sono i 320 milioni a disposizione del Ice (l’Istituto per il commercio estero) per orientare l’export verso mercati maturi e sostenere le imprese in Paesi meno colpiti. Nelle valutazioni del governo inoltre andrebbe tenuto a mente che il primo settore a cadere vittima potrebbe essere quello dell’agroalimentare. Parola di Saro Capozzoli, italiano che in Cina vive da 30 anni e 20 anni fa ha deciso di fondare a Shanghai due aziende (Jesa investment e poi Jesa Capital) per aiutare le imprese italiane (e non solo) a operare in Cina e da qualche anno ha iniziato anche a portare le società cinesi a investire in Europa.

Tra le aziende che sono state tra i suoi clienti ci sono la Bosch o Volkswagen, ma anche Salumi Beretta che nel Paese ha aperto un sito produttivo e in pochi anni è riuscita a intercettare il 70% del mercato cinese dei salumi. «Credo ci sia una grande esagerazione in Italia sul coronavirus», dice a MF-MilanoFinanza. «L’Italia è stato l’unico Paese europeo ad aver chiuso i voli diretti da e verso la Cina. Non credo che Paesi come la Francia, la Germania o l’Olanda siano incoscienti». Anche perché per volare da e verso la Cina basta passare per altri Paesi europei come «farò io nei prossimi giorni, con uno scalo ad Amsterdam», dice.

Ma mentre il virus non è stato tenuto fuori dai confini nazionali, c’è un settore che rischia di essere colpito dalle scelte del governo italiano. «La Cina per ritorsione starebbe valutando di bloccare le merci italiane dell’agroalimentare. Per loro non è un gran danno visto che continueranno ad importare prodotti dalla Francia o dalla Germania, che già fanno la parte del leone, ma per l’economia italiana, che nel Paese esporta appena 500 milioni, quanto in Serbia, non è certo un bel segnale». (riproduzione riservata)


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