Se Londra non è più di moda, Hong Kong è tormentata, New York troppo cara come del resto Singapore, per chi vuole investire nel mattone extra-europeo la tentazione potrebbe essere quella di deviare su Shanghai, la più attraente delle città cinesi. Prezzi salati ma tuttora in crescita, domanda solida, segmento delle nuove costruzioni vivace, mutui facili e generosi, governo attento a scongiurare la formazione di bolle immobiliari. Con queste credenziali il mercato residenziale della metropoli cinese, e della Cina in genere, si prospetta come più che appetibile. Con in più l’ulteriore vantaggio dato dal recente rafforzamento di euro e dollaro rispetto allo yuan.
Partendo proprio dalle quotazioni, l’elemento determinante nelle scelte d’investimento, «a giugno 2019 i prezzi delle case nuove nelle principali città dell’Impero Celeste risultavano in crescita del 10,78% rispetto a un anno prima», conferma l’ultimo report di GlobalPropertyGuide che cita i dati dell’Ufficio Nazionale di Statistica della Cina. «Non solo: la recente crescita dei prezzi è stata persino più rapida dei sei mesi precedenti poiché l’incremento dell’intero 2018 si era fermato al 9,7%». Si tratta di rialzi non da poco, specie se si considera che per un appartamento medio nelle zone centrali di Shanghai servono dai 2-2,5 milioni di euro in su.
Purtroppo però il rovescio della medaglia è ricco di voci che rendono l’impresa non sempre conveniente sotto il profilo economico e quasi una mission impossible quando si passa agli aspetti normativi. Perché, come sottolinea Hermes Pazzaglini, salary partner di Nctm Studio Legale, «l’intento del governo cinese è scoraggiare l’investimento in abitazioni, non di favorirlo». Partendo dagli aspetti economici, il primo problema è che è vero che i prezzi salgono, ma solo nelle città di secondo e terzo livello, mentre rallentano nelle principali metropoli.
Come riporta GlobalPropertyGuide, tra le quattro città di alto livello a salire di più è Shenzhen (+0,5% nell’ultimo mese), seguita da Shanghai e Guangzhou (+0,3% per il nuovo e +0,08% per l’usato), mentre Pechino arretra dello 0,1%. A questi valori va poi sottratta l’inflazione, che là ancora esiste e pesa il 3,3%. Pur a fronte di una domanda sostenuta, il calo della crescita si spiega con i timori di ulteriori misure restrittive verso l’acquisto immobiliare: nella prima metà di quest’anno ne sono state annunciate 251, il 31% in più rispetto a un anno fa.
Le politiche restrittive pesano in particolare sugli acquirenti esteri. Come spiega ancora Pazzaglini, «così come i cittadini cinesi, gli stranieri non possono comprare più di un immobile a testa, anche se in coppia. Inoltre devono risiedere in Cina, per lavoro o per studio, da almeno un anno. Attenzione poi ai pagamenti. L’acquisto deve essere fatto interamente con denaro proveniente dall’estero, cioè non detenuto in Cina.
In caso contrario al momento della vendita i capitali non potranno essere portati fuori dal Paese. Chi lavora come dipendente, e quindi guadagna in Cina, deve prima esportare i capitali all’estero, nella misura massima del 60% al netto delle tasse, e poi pagare con quelli. Vista la complessità dell’operazione, l’acquisto non consente il versamento di acconti ma va fatto tutto in contanti. Infine, agli stranieri non è permesso affittare la propria casa e in ogni caso non potrebbero esportare gli eventuali introiti. Comprare casa quindi ha senso solo se per uso diretto o in vista di un aumento significativo dei prezzi». (riproduzione riservata)