La scorsa settimana in Perù, alla presenza del Presidente Xi Jinping, è stato inaugurato dalla Presidente Dina Boluarte il nuovo porto di Chancay, località non distante dalla capitale Lima, la cui costruzione era iniziata nel 2019 quando la compagnia marittima cinese Cosco Shipping aveva acquisito il 60% delle quote nel Terminal portuale di Chancay dalla Volcan Compania Minera, una controllata dalla svizzera Glencore, per lo sviluppo dell’area adiacente all’oceano, con diritto esclusivo di utilizzo quale unico operatore terminalista.
L’apertura di questa nuova infrastruttura, risolte definitivamente le controversie giuridiche concernenti l’aspetto gestionale del territorio circostante il porto, consentirà dall’anno prossimo di ridurre drasticamente dalla Cina i tempi di percorrenza necessari da 33 a 23 giorni, in particolare rafforzando le partenze dall’angiporto di Shanghai.
Il Perù ha una lunga storia di relazioni con la Cina che iniziano con flussi migratori durante il XIX secolo quando centomila cinesi sbarcarono sulle coste peruviane ed ancora oggi l’8% della popolazione totale discende dalla generazione cinese di allora. Anche nel vocabolario peruviano sono state contaminate o meglio meticciate alcune parole derivanti dalla lingua cinese e recentemente il parlamento peruviano ha deciso che il primo febbraio di ogni anno sia celebrato il Giorno della Fratellanza tra Peru e Cina.
Questa cornice conferma il volume di scambi economici dovuti alla sottoscrizione nel 2013 del Comprehensive Strategic partnership e potenziatosi a partire dal 2016 con una media di crescita sino al 2019 del 14,6 % secondo dati delle Dogane cinesi. Nei primi dieci mesi di quest'anno vi è stato un picco nell’interscambio commerciale a 35 miliardi di dollari americani, con una crescita de 16,8%, dato che va valutato tenendo conto che il Perù è uno dei paesi più poveri al mondo con un reddito pro capite che non arriva a 8.000 dollari l'anno per ciascuno dei 33 milioni di abitanti che complessivamente assicurano un pil di 270 milioni di dollari. Lo scambio commerciale ha riguardato da parte peruviana materie prime quali il rame di cui questo Paese è uno dei maggiori produttori e prodotti ortofrutticoli mentre da parte cinese macchinari e beni di consumo.
Il nuovo porto che in prospettiva coagulerà attorno ad esso un hub di primaria importanza nell’area sudamericana, la sua peculiarità è in primo luogo la profondità del pescaggio intorno ai 20 metri che consentirà l’attracco a navi portacontainer di ultima generazione con una capacità di 22.000 Teus, l'unico con queste caratteristiche nella costiera sudoccidentale.Mario de Las Casas, manager Relazioni esterne di Cosco Shipping in Peru, ha affermato che «Tutto è prodotto in Cina; questa è un’opportunità non solo per il Peru ma per l’intero territorio sudamericano».
Infatti, la seconda valenza rilevante è che questo porto potrà servire anche il Brasile in quanto i due Paesi sono collegati dalla Southern Intraoceanic Highway, un’autostrada che taglia il continente sudamericano passando attraverso l’area brasiliana deforestata di Acre e Rondonia ad alta vocazione agricola per la produzione di soia, commodity di cui la Cina ha sempre più necessità.
Una considerazione forse azzardata potrebbe meglio far comprendere il desiderio o la necessità di intraprendere la scoperta di nuove rotte e di praticarle da parte della Cina. Ricordiamo che l’ammiraglio Zheng He, durante la dinastia Ming, con i suoi sette viaggi documentati aveva cercato nuovi lidi e nuove rotte tra India ed Africa lambendo tutte le coste della penisola arabica.
Allo stato attuale con i conflitti in atto che dopo più di un anno non volgono a soluzioni immediate il problema delle rotte persiste senza spiragli: l’unica alternativa è stata quella della circumnavigazione con aggravio di tempi e di costi ormai accettato dalla clientela.
Nel trovare soluzioni intese come vantaggi competitivi, questa del porto di Chancay, pensata forse in tempi non sospetti ma con alcuni segnali che stavano stagliandosi all’orizzonte (anno 2018, Trade war e raffreddamento o meglio disincanto del modello globalizzante), ha fatto sì che la Cina iniziasse a pianificare altre connettività oceaniche (i servizi ferroviari euroasiatici erano nati nel 2013). La tempestività dell’inaugurazione dopo le elezioni americane con la visita dell’attuale Presidente in carica Biden al contestuale meeting APEC porterà ad uno sparigliamento delle posizioni dei vari attori geopolitici.
A completamento di azioni in questo quadrante sudamericano vi è stata la richiesta del Cile, presentata a metà giugno, di aderire al Trattato RCEP. Il Cile aveva già stipulato con la Cina un FTA che aveva permesso di regolare lo scambio commerciale a tariffe ridotte se non azzerate. Infatti la Cina dal Cile ha importato sia le terre rare (litio in primis) che i minerali e soprattutto il rame sia vino e frutta; solo di ciliege nella stagione 2023-2024 la Cina ha importato 377.000 tonnellate di prodotto.
A sua volta la Cina ha esportato macchinari, prodotti elettronici, tessile, acciaio ed elettrodomestici. Con il RCEP, poiché il Cile ha in essere 33 accordi commerciali con rispettivi Paesi, questa adesione permetterebbe al Cile di entrare nell’area Asean e alla Cina di incanalarsi nelle scia dei 33 accordi.
Se gli scambi del commercio globale nel 2023 si sono attestati intorno al 3% quelli relativi ai Paesi firmatari dell’accordo RCEP sono stati del 5,6% gravitando su di un bacino che contribuisce al 30% del Pil mondiale e ha attratto investimenti greenfield per 234 miliardi di dollari.
Considerando le incertezze commerciali che si dovrebbero prospettare l’anno prossimo su di un presunto fronte protezionistico generalizzato la Cina potrà beneficiare di rapporti privilegiati con tre Paesi con un’unica mossa del cavallo. (riproduzione riservata)
*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da 30 anni