La rete diplomatica cinese è pronta a dare assistenza e agevolazioni per i visti agli stranieri vaccinati con un farmaco made in China. Lo segnala sul proprio sito l'Ambasciata cinese a Roma. La penisola sembrerebbe quindi al momento tagliata fuori. Nell'Unione europea, al momento soltanto l'Ungheria ha adottato i vaccini prodotti da Sinopharm. Nel Vecchio Continente anche la Serbia si è però affidata a Pechino per le forniture.
Le facilitazioni, spiega l'ambasciata, vanno nella direzione di permettere il graduale ritorno alla normalità per l'ingresso dei lavoratori e delle loro famiglie nella Repubblica popolare. I vaccinati potranno infatti presentare domanda di visti secondo le regole pre-pandemia. Inoltre è prevista una quota superiore di visti per "ragioni d'emergenza" ad esempio per permettere i ricongiungimenti familiari di cittadini cinesi o stranieri con il visto per la residenza permanente.
Già in occasione dell'ultima sessione plenaria dell'Assemblea del popolo cinese Pechino ha lanciato la proposta di un "passaporto digitale" per certificare lo stato di salute dei viaggiatori. Si tratta un'applicazione per smartphone, non obbligatoria e riservata ai cinesi, che visualizza e autentica i dati sulla salute dei passeggeri, come i test Covid o il loro stato di vaccinazione, potrebbe contribuire ad aprire ulteriori frontiere.
Iniziative simili sono allo studio negli Stati Uniti e nell'Unione europea. Con quattro farmaci approvati da 24 Paesi e circa 70 sperimentazioni arrivate almeno alla seconda fase di trial le aziende biofarmaceutiche dell’ex Celeste Impero giocano un ruolo da protagoniste nella campagna di inoculazioni globale.
Un disegno che sembra guidato dalla visione di lungo periodo del presidente Xi Jinping, che lo scorso maggio ha affermato: «Tratteremo l’antidoto come un bene pubblico globale». Il piano parrebbe finalizzato ad accrescere la sfera di influenza della Rpc nel mondo, ponendo le basi per un mercato che, secondo un recente studio di Credit Suisse, nel 2021 varrà tra i 9 e i 14 miliardi di dollari.
Stando agli analisti, le dosi di sieri cinesi ordinate all’estero sono circa 500 milioni. I numeri, visti così, non sembrerebbero fare concorrenza alle grandi corporate occidentali. Entro fine anno l’intera industria dovrebbe essere in grado di produrne per oltre 2 miliardi di persone (considerando le doppie dosi, il totale di antidoti può anche raddoppiare), con una prevalenza di nomi ormai noti: AstraZeneca, Moderna, Pfizer-Biontech, Johnson & Johnson. Valore: circa 78 miliardi di dollari, di cui il mercato cinese rappresenterebbe tra il 12% e il 18%.
Eppure, la diplomazia vaccinale di Pechino percorre una traiettoria diversa: secondo il South China Morning Post le dosi di sieri inviate all’estero dal Paese sono attualmente 46 milioni, più di quelle inoculate in patria, poco meno di 41. Per una nazione di 1,4 miliardi di abitanti significa che meno del 3% della popolazione è stata vaccinata, contro il 17% degli Usa. Ancor più interessante è vedere come si collocano i maggiori beneficiari dei farmaci cinesi: gli Emirati Arabi (che utilizzano due dei quattro antidoti arrivati alla fase di approvazione) sono al 53%, il Cile è sopra al 12%, ma in seconda posizione per tasso di incremento giornaliero (+1,06%), dopo aver ordinato 60 milioni di dosi di CoronaVac (prodotto dalla Sinovac), la Turchia è oltre il 6% in seguito all’ordine di 50 milioni di antidoti, anch’essi della Sinovac. (riproduzione riservata)