Per massimizzare le opportunità per l'Italia come terminal naturale della Belt & Road marittima, la Fondazione Italia Cina proporrà al governo il progetto Tridente. Lo ha annunciato Alberto Bombassei, presidente della Fondazione e di Brembo, una delle aziende di maggior successo sul mercato cinese, nella presentazione del Rapporto annuale Cina 2019 ai soci della Fondazione, a cui ha partecipato anche il presidente del consiglio, Giuseppe Conte.
Il progetto Tridente consiste nella costituzione di tre consorzi che riuniscano le rappresentanze delle infrastrutture portuali e della pubblica amministrazione, comuni e regioni, delle tre regioni, Liguria, Veneto e Friuli, maggiormente interessate per la loro posizione geografica come punto di arrivo e di partenza delle rotte marittime tra il Mediterraneo e l'Estremo Oriente che assicurano l'80% degli scambi commerciali fra Europa e Asia.
Nella vision della Fondazione milanese, che riunisce 200 imprese che operano con la Cina e in Cina, Venezia dovrebbe diventare il quartier generale delle istituzioni finanziarie legate ai progetti della Via della Seta, mentre i porti di Trieste e Genova saranno le basi logistiche. Nel tre consorzi Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe avere un ruolo di pivot finanziario incaricato dal Governo di mettere in piedi un veicolo di finanziamento capace di raccogliere risorse sul mercato a supporto di questi consorzi.
«Il cuore pulsante di questi consorzi non possono che essere le imprese,» ha sottolioneato Bombassei, richiamando il fatto che «l'economia italiana deve trarre veramente un vantaggio dalla interconnessione tra Europa e Asia, interconnessione che arriverà, piaccia o no, e ci porterà benefici importanti se troverà nel Mediterraneo la sua principale arteria marittima».
La proposta della Fondazione è arrivata al termine di un'analisi della situazione dei rapporti geopolitici, in cui l'Italia dovrebbe giocare una ruolo importante, anche a difesa delle sue aziende, perché «un’azienda che vuole crescere non può prescindere dal mercato cinese» ha ricordato Bombassei, deplorando il fatto che negli attuali negoziati in corso tra Stati Uniti e Cina, l'Europa non sia presente.
L'Italia,tra l'altro, è in ritardo sul fronte degli scambi con la Cina rispetto ai suoi diretti competitor europei, come evidenzia il report 2019 della Fondazione. La Germania distacca il made in Italy con 184 miliardi di euro di scambi, nel 2018, contro i 55 dell'Italia e i 63 della Francia. Tuttavia l'Italia, l'anno scorso ha esportato più della Francia, 33,3 miliardi contro i 30,8 di Parigi.
«Noi vediamo un rischio, quello della “balcanizzazione” del settore tecnologico oggi globale. Gli scambi internazionali di tecnologia sono altamente integrati e non sono assimilabili all’import-export agricolo o a quello dei prodotti di consumo. Se questi scambi tecnologici si fratturano o si arrestano, la loro natura globale può portare ad uno shock altrettanto globale simile a quello che la crisi bancaria e finanziaria ci regalò nel 2008», ha avvertito l'imprenditore, la cui azienda attiva nella filiera dell'automotive è sul crinale degli effetti di quegli sviluppi tecnologici.
«La Commissione Europea e i grandi Stati europei nel marzo scorso hanno definito la Cina uno “strategic competitor”, ma sono in ritardo nello sviluppare una propria linea sulla Cina e fanno fatica ad inserirsi nei negoziati economico commerciali in corso», ha insistito.
Secondo Bombassei, «l’industria cinese da un lato e quella europea ed americana dall’altro, sono certamente concorrenti nelle tecnologie che costituiscono il sistema nervoso della futura economia globale, ma questo non vuole dire che Cina ed Occidente debbano essere avversari. I concorrenti non possono non accordarsi sulle regole della competizione. Il problema è che la struttura multilaterale creata sul finire degli anni ’40 non è più adeguata oggi a gestire le negoziazioni necessarie tra Cina e Occidente per definire le regole della competizione».
Il presidente della Fondazione ha concluso che «la Cina deve essere coinvolta e affrontata da noi occidentali, in un contesto multilaterale, in un dialogo forte, sul principio di reciprocità e su quello di leale concorrenza, sulla apertura reciproca dei mercati settore per settore, industria per industria, per ottenere che Pechino modifichi alcune pratiche di concorrenza che, non potendosi più considerare la Cina semplicemente come un paese in via di sviluppo, non sono più giustificabili».