Oltre il 60% delle aziende manifatturiere europee e statunitensi prevede nei prossimi tre anni di far rientrare parte della propria produzione asiatica in Europa e negli Stati Uniti a causa delle fragilità evidenziate da molte supply chain globali. Si tratta di quel processo di regionalizzazione della globalizzazione che sta riportando il Mediterraneo al centro dei commerci marittimi. Il controllo di terminal portuali, insediamenti produttivi e zone franche diventa quindi la chiave logistica per controllare meglio gli approvigionamenti, evitando colli di bottiglia, intoppi e lungaggini di catene di fornitura troppo lunghe.
È quanto emerge da una ricerca di Srm, centro studi collegato a Intesa Sanpaolo, presentata all'evento 'Progetto Mare' organizzato da Confindustria in collaborazione con Confitarma e Fincantieri e con il sostegno di Intesa Sanpaolo.
L'accorciamento delle supply chain spinge il reshoring, cioé l'avvicinamento degli impianti produttivi ai mercati nei quali i prodotti sono destinati. Nel 2021 si sono registrati 171 casi di reshoring che hanno interessato aziende italiane, appena meno della Francia, che ha avuto 174 casi, e ben più dei 122 casi di aziende inglesi e dei 98 di aziende tedesche. Per quanto riguarda l'Italia, il 44% del reshoring proviene da imprese localizzate nel Far East, di cui il 33% dalla Cina, un altro 22% proviene dall'Europa orientale e dalla Russia.
L'accorciamento delle catene di fornitura globali aumenta anche lo short sea shipping, cioé i trasporti marittimi a breve raggio, di cui l'Italia è leader nel Mediterraneo, con 286,7 milioni di tonnellate trasportate nel 2021. I traffici commerciali marittimi di breve raggio consentono vantaggi di mercato, con un trasporto più adeguato alle esigenze del commercio regionale, ma anche vantaggi strategici, perché aiutano le esigenze di internazionalizzazione delle imprese, anche quelle medio-piccole, senza considerare la riduzione di emissioni inquinanti.
Per sfruttare la leadership nello short sea shipping mediterraneo, secondo Srm, l'Italia dovrebbe puntare a sviluppare e a valorizzare le otto zone economiche speciali (Zes), tutte nel Mezzogiorno, che mirano ad attrarre investimenti, efficientare le risorse pubbliche, rafforzare la strategia tra industria e logistica, favorire il reshoring e lo sviluppo dell'ultimo miglio delle attività industriali.
L'obiettivo di lungo periodo è di creare un sistema portuale più competitivo, in linea con gli altri Paesi mediterranei, grazie anche alla realizzazione di una rete di collegamenti fra i porti, i retroporti e l'industria manifatturiera. Uno degli esempi di successo è quanto è stato realizzato a Trieste nel collegamento tra il porto, il retroporto, le zone industriali e soprattutto i collegamenti intermodali con la rete viaria e ferroviaria. (riproduzione riservata)