“Più si riesce a guardare indietro, più avanti si riuscirà a vedere”, ha detto Winston Churchill ricordando che per capire come sarà il nostro futuro, dovremmo studiare e ricordare meglio il nostro passato: la conoscenza della storia ci permette di prendere delle decisioni oggi per il nostro futuro.
Ecco perché è opportuno richiamare ora la ormai famosa “trappola di Tucidide”, immagine coniata dal politologo di Harvard Graham Tillett Allison Jr. nel descrivere la tendenza di una potenza dominante a ricorrere alla forza per contenere una potenza emergente.
Lo storico dell'antica Grecia descrisse la guerra tra Atene e Sparta nel V secolo a.C. dovuta al rapido sviluppo di Atene, che stava minacciando il potere consolidato di Sparta. E nel 2013, il presidente cinese Xi Jinping, in un suo discorso ad un gruppo di visitatori occidentali, disse "Dobbiamo tutti lavorare insieme per evitare scenari evocati da Tucidide". Pochi in quel momento avranno capito il vero significato di quelle parole.
L'attuale tentativo degli Stati Uniti che hanno avviato una guerra commerciale senza precedenti, si sta trasformando in una guerra valutaria e nessuno può prevedere fino a che punto le parti in gioco si potranno spingere oltre.
Intanto l’industria americana ha iniziato a soffrire le conseguenze di questa guerra delle tariffe, che colpisce soprattutto le maggiori industrie: quella automobilistica, in particolare, dato che la Cina ha aumentato le tariffe sulle automobili prodotte dagli Stati Uniti che entrano nel paese dal 15% al 40% come ritorsione alle tariffe statunitensi.
Quindi aziende come Tesla, ma anche GM che paradossalmente produce in patria i motori installati sulle proprie automobili assemblate in Cina, proprio per preservare i posti di lavoro a in patria. Ma anche i prezzi delle auto prodotte negli Usa aumenteranno per gli statunitensii a causa della percentuale di contenuti importati dalla Cina utilizzati nella produzione locale.
Anche l'hi-tech subisce l’impatto dell’aumento dei dazi e dei divieti imposti da Trump. I produttori di chip e i produttori di elettronica dipendono dalla Cina per le vendite, come NVIDIA Corp. (NVDA), Micron Technology (MU) e Intel Corp. (INTC), produttori di semiconduttori che si troveranno presto fuori dal grande mercato. Il rischio è che la Cina potrebbe imporre nuove tasse e l'aggiunta di regolamentazione alle società statunitensi.
Altro settore che si trova gravemente danneggiato è l’agricoltura perchè la Cina rappresenta il quarto mercato per le esportazioni americane. Se in futuro dovesse rallentare ulteriormente o interromperà gli acquisti di prodotti agricoli statunitensi, gli agricoltori e le industrie connesse, grandi elettori e sostenitori di Trump, probabilmente risentiranno della stretta.
Le politiche aggressive di Trump stanno quindi danneggiando principalmente gli stessi Stati Uniti: nonostante giugno sia stato il primo mese completo con più alti dazi su 200 miliardi di dollari di beni cinesi, il trade surplus della Cina con gli Stati Uniti è aumentato dell’11% rispetto al mese precedente, secondo dati Reuters.
Nella prima metà del 2019 è stato invece registrato un aumento del 5%. Dall’altro lato, le esportazioni americane verso la Cina si sono ridotte del 7,4% nel 2018, ma soprattutto del -18,9% nella prima metà metà di questr'anno.
L'annuncio di Trump del 3 agosto di imporre dazi addizionali del 10% sui restanti 300 miliardi di dollari di importazioni cinesi dal 1 ° settembre (data rinviata in seconda battuta a dicembre) ha aumentato le tensioni tra i due Paesi. Di conseguenza, il 5 agosto la Banca cerntrale cinese, la Pboc, ha lasciato svalutare lo yuan oltre la soglia di 7 contro il dollaro, al fine di compensare alcune delle tariffe e sostenere le sue esportazioni, manovra seguita dall’accusa di manipolatrice di cambi da parte del Tesoro americano alla Cina.
Questa mossa ha colpito i mercati di tutto il mondo, con la borsa statunitense che ha registrato il calo giornaliero più consistente di quest'anno, e gli investitori che si sono spostati verso attività più sicure rappresentate dallo yen (la valuta più performante nel 2019), il franco svizzero, l’oro (aumentato del 14% da inizio 2019) e i titoli del Tesoro Usa.
Il rally delle obbligazioni governative Usa ha ridotto significativamente i rendimenti obbligazionari (che si muovono sempre nella direzione opposta rispetto ai prezzi delle obbligazioni), con il rendimento sulla nota decennale di riferimento sceso di ben 11 punti base prima all'1,593 per cento, il suo livello più basso da ottobre il 2016.
Ormai è evidente come le turbolenze create dalle politiche tariffarie di Trump stiano influenzando negativamente l'economia americana. In effetti, il rendimento del Tesoro Usa a tre mesi è stato scambiato al di sopra di quello del titolo di stato decennale di riferimento, il divario più ampio dal marzo 2007.
L' inversione della curva dei rendimenti, con i rendimenti a breve termine superiori a quelli a lungo termine, ha preceduto ogni recessione nell'ultimo mezzo secolo, come ha già osservato il Financial Times. La preoccupazione è che la Fed si stia muovendo troppo lentamente per abbassare i tassi, poiché la curva dei rendimenti continuerà a invertirsi, senza ulteriori azioni.
Tuttavia, la Fed non ha grandi strumenti per tagliare con successo i tassi di interesse e indebolire il dollaro, che è salito a un massimo di due anni c. Di fatto, gli Stati Uniti sono l'unica grande economia avanzata con una banca centrale i cui tassi di interesse sono significativamente al di sopra dello zero, e ogni mossa unilaterale rischia di fallire.
Oltre la Cina, stanno tagliando i tassi di interesse le banche centrali di India, Nuova Zelanda e Tailandia, il 7 agosto, mentre l'Australia ha mantenuto il suo tasso ufficiale al minimo storico il 6 agosto, a causa dell'incertezza globale legata proprio alla guerra commerciale, all'imminente Brexit, e alla caduta della produzione industriale tedesca a giugno, segnale allarmante sul fatto che la più grande economia dell'Eurozona sta andando in recessione.
Mario Draghi ha annunciato a giugno che la Bce potrebbe varare più stimoli per sostenere l'economia europea. Inoltre, i tassi sulle obbligazioni emesse da alcuni paesi del mondo, tra cui Giappone, Germania, Svizzera, Svezia e Danimarca e altri dell’Eurozona, hanno raggiunto territorio negativo.
Nel solco della situazione incerta creata dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, si aggiunge l’instabilità politica in Italia e il rischio concreto di default del Paese se dovesse continuare ad aumentare il debito per finanziare politiche. Grecia, Argentina, Indonesia, Ecuador e Turchia dimostrano che con deficit fuori controllo si allontanano gli investitori, si alimentano le clientele e si zavorra il futuro con risultati disastrosi.
Mai come ora il mondo si trova di fronte uno spartiacque entropico così chiaro e definito: se non si troverà un equilibrio tra aspettative di sviluppo e di espansione commerciale della Cina e il tentativo di mantenere il predominio dei mercati da parte degli Usa, il rischio di cadere in una escalation più vasta con possibile conflitto diretto tra i due Paesi, anche se solo regionale come nei mari del sud della Cina, resta molto concreto. Tucidide ci ha avvertito.
* Saro Capozzoli è fondatore e ceo di Jesa CEO di Jesa Capital, boutique di strategia specializzata sul mercato cinese, corporate finance e M&A, basata a Shanghai da 20 anni. Capozzoli lavora in Cina da 30 anni