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Politica

I paesi Bri chiave per la crescita dell'export italiano nel 2019

Lo sostiene uno studio di Srm, centro di ricerche specializzato sull'analisi dei flussi mercantili, che ha calcolato che nel 2017 il 40% degli scambi con l'estero del Belpaese sono dipesi dai paesi lungo le Vie della Seta. E fondamentale il ruolo dei porti italiani nell'intercettare i flussi marittimi dall'Asia in crescita dopo l'allargamento del canale di Suez


04/03/2019 17:08

di Pier Paolo Albricci - Class Editori

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Export italiano verso i paesi Bri

La Belt & Road Initiative (Bri), il colossale piano di investimenti cinesi nella regione euroasiatica e in Africa, sarà uno degli argomenti al centro degli incontri del presidente cinese Xi Jinping nella sua prossima visita in Italia, dal 21 al 23 marzo prossimi, secondo fonti ufficiose. L’interesse ad approfondire l’argomento da parte dell’Italia deriva dal fatto che proprio i paesi interessati dalla Bri potrebbe diventare un motore trainante delle esportazioni italiane in un anno, il 2019,  in cui le tensioni internazionali stanno rallentando i commerci a livello globale.

Nei paesi Bri, tra cui Cina, Russia, e India rappresentano un buon 65% del totale del Pil, sono previsti infatti ben 117 miliardi di dollari di investimenti da parte della Cina e di istituzioni internazionali, che in parte potrebbero alimentare i flussi da e per l’Italia.

 Infatti nel 2017, anno in cui le esportazioni italiane hanno superato 500 miliardi di euro con un crescita di  oltre il 7%, la componente Bri ha raggiunto una cifra record: il 27% dell’export, circa 130 miliardi di dollari, è stato realizzato con i 113 paesi che appartengono a quest’area. E gli analisti hanno calcolato che nel 2022 l’Italia potrebbe raggiungere la cifra di 150 miliardi di dollari di export verso i paesi Bri.

Sommando le importazioni dagli stessi paesi, si arriva alla cifra di 280 miliardi di dollari, secondo i calcoli di Alessandro Panaro, responsabile infrastrutture di Srm, un centro di ricerche specializzato nell’analisi dei flussi mercantili, in particolare tra Asia ed Europa.

 Circa il 25% degli scambi è avvenuto con l’area europea, il 6,8% con l’Asia orientale (Cina) e il 4,8% con i paesi che fanno parte dell’area MENA. Ma ancora più interessante è il fatto che nel periodo 2009-2017, ha calcolato Srm, l’import-export dell’Italia verso i paesi Bri è aumentato del  55,2% , contro il +6,7% verso il resto del mondo, e le esportazioni del 53,4% contro il 13,4% dell’export verso il resto del mondo.Si tratta di flussi che se confermati, anche nel 2018, come sembra dagli ultimi dati disponibili, indicano una tendenza precisa.  

Tra i paesi Bri il primo partner commerciale dell’Italia è la Cina. Nel 2017 gli scambi commerciali tra i due paesi hanno raggiunto 42 miliardi di euro con un aumento del 65% dal 2009 e si sono ulteriormente incrementati l’anno scorso, a 44 miliardi di euro, secondo dati ancora ufficiosi.  E la Cina realizza oltre il 70% degli scambi con l’Italia per circa 30 miliardi di euro, via mare. Tale percentuale diventa il 64% se si considera l’Unione Europea a 28 paesi, ha accertato Srm. 

Una delle ragioni di questa performance, oltre alla capacità manifatturiera del paese, è la collocazione mediterranea dell’Italia sulla rotta strategica est-ovest che passa dal Canale di Suez, attraverso cui transita il 9% del commercio internazionale del globo. In sostanza l’Italia starebbe diventando sempre più punto di riferimento nella crescita degli scambi, anche grazie a quanto è avvenuto a sud, in Egitto.

I lavori di ampliamento del canale terminati nel 2015, in gran parte finanziati dalla Cina,  hanno indotto una crescita significativa delle merci in transito, confermata anche nel 2018, anno in cui è stato segnato il doppio record, in termini di numero di navi (oltre 18 mila, +3,6%) e di cargo trasportato (983,4 milioni di tonnellate, +8,2%), secondo i dati di Srm.

Grazie all’allargamento, nel 2018 la dimensione media delle navi che hanno attraversato il Canale è cresciuta del 12% rispetto al 2014 (anno precedente l’espansione), evidenziando che la nuova infrastruttura sta assecondando le esigenze del gigantismo, fenomeno che riguarda tutte le tipologie di naviglio. Le portacontainer sono le navi più numerose tra quelle che hanno effettuato transiti completi attraverso il Canale di Suez.

Il traffico merci  ammonta a oltre 983 milioni di tonnellate, con un incremento dell’8,2% rispetto al 2017 quando era stato segnato il precedente picco storico di carichi imbarcati sulle navi transitate nel canale egiziano. Il nuovo record è stato stabilito grazie alle merci sulle navi che hanno attraversato il canale sia da nord verso sud, che sono ammontate a 524,6 milioni di tonnellate (+9,8%), sia da sud a nord, che si sono attestate a 458,8 milioni di tonnellate (+6,6%), nuovi record che hanno superato entrambi i precedenti registrati nel 2017.

I container e il petrolio costituiscono le principali tipologie di merci in transito, rappresentando il 74% del totale: in particolare i contenitori da soli contano la metà di tutte le merci. Il Canale di Suez è anche la terza rotta al mondo per il trasporto di petrolio e gas naturale che partono dal Golfo verso l'Europa e il Nord America. Queste due rotte rappresentano circa il 9% del commercio mondiale di petrolio via mare. Nel 2018, il petrolio greggio e i prodotti derivati e l’ LNG rappresentano rispettivamente il 24% e 3% delle merci transitate.

L’andamento dei traffici mostra, inoltre, che il raddoppio del Canale sta gradualmente cambiando gli assetti mondiali del trasporto marittimo soprattutto lungo la rotta Est-Ovest; negli ultimi 11 anni il traffico dal Sud Est Asiatico verso il Mediteranneo è aumentato del 37%, dato che va letto insieme alla crescita del traffico da e verso il Golfo (+77%) dove molto interscambio commerciale ha come destinazione finale la Cina.

La presenza della Cina tra le principali aree di origine/ destinazione di cargo in transito nel Mediterraneo spiega la valenza strategica del Canale di Suez in ottica di Belt & Road Initiative. Sono 113 i Paesi in qualche modo coinvolti da questo progetto, quasi 50 in più rispetto a quelli che originariamente ne facevano parte. A partire da Settembre 2017 la Cina aveva già firmato accordi di cooperazione con 74 Paesi. Lo studio di Srm prevede che l’ammontare delle risorse finanziarie destinate al progetto raggiungerà 8mila miliardi di dollari per l’intero periodo dell’investimento.

I Paesi del Nord Africa rappresentano l’area cardine nel quadro della BRI. Su di essi la Cina punta: come area di produzione per i mercati europei; come porta logistica per l’Europa e l’Africa sub-sahariana; come polo energetico per il petrolio, il gas e le energie rinnovabili. L’energia è un settore target per gli investimenti cinesi: nelle previsioni per il 2040 le importazioni di petrolio del Paese dovrebbero aumentare a 12,4 milioni di barili al giorno dai 7,5 nel 2016, mentre le importazioni di LNG quadruplicheranno. Anche se in calo, la quota dei Paesi Mena sulle importazioni di petrolio cinesi è ancora elevata: 65%.


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