Quando, nella primavera del 2019, si era alle prime scaramucce della Trade War, il Vietnam, come altre tigri nell’area del Sud Est asiatico era stato identificato quale possibile parziale alternativa ad una localizzazione produttiva fino a quel momento presente sul territorio cinese.
Infatti, il Vietnam aveva a quel tempo un Pil del 7% e l’export si era attestato a un 12% di crescita. Si diceva anche che questo Paese era una delle economie più aperte in Asia e che nell’area Asean aveva avuto lo sviluppo più rapido. Se poi si analizzano le ultime due decadi la media del Pil viaggia intorno ad un 6% costante.
In questi due anni il trend è proseguito con indicatori ancora confermati ed anche la pandemia del Covid 19 non ha intaccato, come in altri Paesi, lo sviluppo le cui fondamenta erano state poste in essere nel 1986 dopo circa due secoli di storia che avevano visto il controllo coloniale da parte della Francia.
Con l’accordo di Ginevra vennero costituite due entità politiche di cui le vicende belliche ci portano alla memoria di una storia recente sino alla liberazione nel 1975 con la costituzione della Repubblica Socialista del Vietnam dopo che gli Stati Uniti vennero sconfitti nel lungo conflitto.
Per i successivi 11 anni l’unificazione del Vietnam non è stata indolore e solamente nel 1986 si è dato appunto corso alla “doi moi”, in vietnamita “porte aperte”, ovvero a una modernizzazione che ha coinvolto le classi rurali, la sanità, l’educazione scolastica, prima di affermarsi come modello industriale nei confronti del mondo.
La World Bank ha confermato che in poco meno di vent’anni (2002 – 2018) più del 50% della popolazione è uscita dalla situazione di povertà secondo le valutazioni ed i criteri internazionali.
Uno degli artefici di questa modernizzazione è Nguyen Phu Trong, presidente della Repubblica dal 2018 e riconfermato proprio in questi giorni per la terza volta a Segreterio generale del Partito Comunista del Vietnam.
Questa riconferma assume un significato particolare per una persona carismatica che ha dimostrato di essere l’anello di congiunzione tra la Cina e il mondo occidentale, in particolar modo gli Stati Uniti. Qualcuno ha malignato sull’età e sullo stato di salute di Phu Trong ma il Congresso senza riserva alcuna l’ha riconfermato con ampio mandato.
La riconferma ha trovato i suoi presupposti in due pilastri fondamentali: la bassissima percentuale di casi di Covid 19 (meno di 2 mila soggetti contagiati da quando un anno fa sono emersi i primi casi) e la lotta alla corruzione.
Inoltre, le dinamiche geopolitiche hanno portato il Vietnam, grazie al suo Presidente a sottoscrivere il trattato di libero scambio con l’Europa, entrato in vigore l’estate scorsa e la firma del RCEP, in novembre, insieme agli altri Paesi dell’area.
Il Trade and Investment Agreement sottoscritto con l’Unione Europea offre l’opportunità di facilitare gli scambi commerciali e gli investimenti in un regime di reciprocità che porterà sicuramente ad incrementare la quota della bilancia commerciale in un prossimo futuro.
In primo luogo, l’eliminazione totale o graduale dei dazi favorirà le esportazioni europee in un paese di oltre 90 milioni di persone con una prevalenza di giovani consumatori ma nello stesso tempo amplierà la prospettiva di investimenti da parte di aziende europee; ciò potrà essere facilitato dal fatto che in uno dei paragrafi del trattato si stabilisce con efficacia immediata l’eliminazione dei dazi nell’importazione di macchinari in territorio vietnamita.
Sui prodotti alimentari e sulle bevande (vino e birra) l’eliminazione avverrà nell’arco di sette e 10 anni. Altre aree relative al settore farmaceutico e alla tutela della proprietà intellettuale sono state disciplinate in modo da favorire un vantaggio reciproco. Inoltre, il Vietnam ha ratificato nel 2019 e nel 2020 le convenzioni internazionali sulla contrattazione collettiva e sui lavori forzati promulgati dall’Organizzazione Internazionale del lavoro: decisione sicuramente non scontata per un paese asiatico.
In questo modo l’Unione Europea, dopo il trattato con Singapore di natura analoga, continua la sua strada di cooperazione con l’Asia, oggi arricchita anche dal Comprehensive Agreement on Investments siglato il 30 dicembre scorso con la Cina.
Rimangono ancora molte zone d’ombra e di rischio soprattutto nel campo ambientale: nella video conferenza inaugurale del Climate Adaptation Summit, organizzata in Olanda la settimana scorsa, i diversi leaders dell’Asia hanno confermato la priorità di risolvere queste problematiche, in particolare il Primo Ministro vietnamita Nguyen Xuan Phuc ha spostato l’attenzione sugli oltre 3 mila chilometri di costa che il Vietnam detiene quale pericolo per le popolazioni che vivono di agricoltura e pesca.
Ma il baricentro dell’attenzione è invece in città come Hanoi con 8 milioni di abitanti e 7 milioni di moto e autoveicoli che ogni giorno gravitano nella città e nella rust-belt causando un tasso di inquinamento con un PM 2.5 superiore a quello di Pechino e Nuova Delhi.
Inoltre, le due aree produttive principali che circondano Hanoi e Ho chi Minh city (una volta Saigon) utilizzano il carbone per alimentare le centrali elettriche e le acciaierie mentre i piani di trasporto e di utilizzo di fonte energetiche alternative non sono che abbozzati anche se il Vietnam era stato uno dei firmatari dell’accordo di Parigi sul clima.
Sono lontani i tempi delle nostalgie coloniali di Marguerite Duras nel romanzo “L’amante“ oppure i drammi vissuti durante la guerra del Vietnam e raccontati in diretta da giornalisti come Tiziano Terzani e Oriana Fallaci che si ritrovavano tutte le sere a Saigon sulla terrazza del Rex Hotel per il briefing serale chiamato poi scherzosamente dagli inviati di guerra “Five O’Clock Follies “ e descritto in modo memorabile da Richard Pyle, il capo dell’Associated Press Bureau che aveva definito la guerra del Vietnam come “la più lunga tragicommedia nel teatro dell’assurdo del Sud Est Asiatico”.
Oggi siamo a parlare fortunatamente di altro ma sarà necessario ed inderogabile trovare una soluzione a questi nuovi drammi. (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni