Il mercato del second hand cinese, fiorente in Occidente, in Cina fino a oggi è stato ostacolato dai timori di imbattersi in articoli contraffatti e dall'opinione diffusa che lo status sociale di una persona possa essere messo in discussione acquistando vestiti usati. Inoltre c'è anche l'antica superstizione che riguarda l'indossare abiti di altre persone: nella Repubblica Popolare portare i vestiti di un individuo che non c'è più non è di buon auspicio, visto che la tradizione raccomanda di bruciare gli indumenti del defunto in modo che possano raggiungerlo nell'aldilà.
Nel Paese più popoloso del mondo l'interesse per gli indumenti di seconda mano resta ancora basso, ma potrebbe essere solo una questione di tempo e di strategie di marketing, come fa notare Xie Xinyan, influencer di moda con oltre un milione di follower, secondo un servizio trasmesso dalla Cnn.
Il negozietto di periferia pieno zeppo di vestiti ammucchiati alla rinfusa probabilmente non funzionerà in Cina, ma nella terra del Dragone si sta registrando un aumento significativo di punti vendita che alzano il livello, propongono i capi usati come «vintage» e così si fa tendenza. Una moda importata dal vicino Giappone, ha spiegato Xie, dove l'interesse verso la cultura vintage è iniziato prima.
La diffidenza dei cinesi verso gli acquisti di seconda mano può quindi essere superata, aprendo così le porte a un business potenzialmente importante visti i numeri del mercato orientale: i tabù della superstizione sono ormai caduti, secondo l'influencer le persone sono piuttosto preoccupate per gli aspetti igienici. Start-up e colossi del commercio digitale come Alibaba stanno approcciando questo settore. Secondo un recente rapporto del Boston Consulting Group i beni di seconda mano rappresenteranno nel 2021 il 9% di tutte le vendite di lusso, mentre in Cina questo valore si fermerà al 2%.
Lo sviluppo del business dell'usato potrebbe avere un impatto positivo anche sull'ambiente, visto che l'industria tessile orientale produce il 10% delle emissioni di anidride carbonica. La Cina, però, è un buon esportatore di abiti usati, che indirizza soprattutto in Africa: il solo Kenya ha acquistato il 20% degli indumenti usati di Pechino. Potersi fidare di merci costose e di alta qualità è il «primo passo affinché i cinesi accettino l'idea di acquistare di seconda mano», osserva Austin Zhu, cofondatore della piattaforma Zhi Er, l'equivalente cinese di The RealReal. «I marchi italiani sono i più popolari sulla nostra piattaforma». (riproduzione riservata)